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SEGNALI DAL FUTURO

REGIA: Alex Proyas
SCENEGGIATURA: Alex Proyas
CAST: Nicolas Cage, Rose Byrne, Chandler Canterbury
ANNO: 2009

 

A CURA DI LUCA LOMBARDINI


WHEN M.NIGHT SHYAMALAN MEETS STEPHEN KING

Cinque anni di studio. Tanto è durata la pausa creativa di Alex Proyas. Visti gli esiti una sosta benefica e rivitalizzante, utile a restituire in forma più smagliante che mai l’idolatrato filmaker de Il Corvo e Dark City. Cinque anni separano la personale rilettura blockbuster dei codici cyberpunk effettuata con Io Robot da questo gioiello fanta-thrilling che risponde al nome di Knowing (velocemente sorvoliamo sull’imbarazzante interpretazione del titolo decisa per il mercato italiano). Cinque anni durante i quali Proyas sembra essersi dedicato anima e corpo al ripasso di segni e simboli propri della fantascienza e dintorni, trovando l’equilibrio culminante della sua quarta fatica dietro la macchina da presa (quinta se si tiene conto del lungometraggio d’esordio Spiritis) nella commistione di immaginari che molto devono alla tradizione eighties di Ai Confini della Realtà e l’omaggio all’ultimo, grande autore contemporaneo che il genere ricordi: M Night Shyamalan.

Proyas dirige ma soprattutto sceneggia come si deve la pellicola in questione, affidandone peso e responsabilità alle robuste spalle di Nicolas Cage, confezionando per lui connotazioni fisiche e tratti caratteriali di un personaggio che direttamente rimandano ad un’interpretazione in grado di posizionarsi perfettamente a metà tra il Mel Gibson di Signs e il Mark Wahlberg di E Venne il Giorno. Il John Koestler protagonista di Segnali dal futuro è un rispettabile professore di astronomia incapace di superare il dolore per l’improvvisa scomparsa dell’amata moglie. Il grave lutto ha irrimediabilmente destabilizzato le sue certezze scientifiche e aumentato in maniera esponenziale l’auto imposta condizione di solitudine e il sentimento di incomprensione nei confronti del religiosissimo padre. Provandolo infine nel fisico, tanto che il corpo, una volta “action” di Cage, anziché occultare il dramma, ne evidenzia impietoso il disfacimento psichico. Resta l’intuito intellettuale (come accadeva per Wahlberg) e il possessivo affetto per il figlioletto (proprio come in Signs), parallele narrative sulle quali Proyas farà correre gran parte dell’intera vicenda. Film di attori, ma anche di ambienti e location. La campagna di Boston, ricostruita nei dintorni dell’australiana Melbourne, rimanda al kinghiano immaginario di IT, con tanto di palloncini tra gli alberi delle villette munite di confortevole giardino o nel cortile scolastico; mentre la costante presenza aliena non può non far tornare alla mente la fantastica Heaven dei Tommyknocker. Tutto ciò senza dimenticare la superficie dei messaggeri venuti dallo spazio, che con i loro cappotti neri e i vampireschi visi emaciati, ricordano da vicino le atmosfere de Le Notti di Salem. Convincente nella sua struttura, Knowing risulta ugualmente attraente nella forma, sorretto com’è da una regia sciolta e sicura, costantemente un passo al di qua dalle derive fracasson-fumettesche tipiche di un certo cinema hollywoodiano, sebbene si cimenti spesso con momenti visivi oscillanti tra l’adrenalinico e l’apocalittico. Lascia letteralmente a bocca aperta, a tal proposito, la scena del disastro aereo, vera e propria gemma tecnica girata tutta d’un fiato attraverso una sola ripresa, un piano sequenza da fare invidia al Cuaròn de I Figli degli uomini, un frammento di cristallina classe registica in perfetto contrappeso tra effetti speciali e crescendo incalzante di pathos. E’ sicuramente merito “dell’occhio” di Proyas, ma altresì della Red One Camera scelta per l’occasione dal direttore della fotografia Simon Duggan (lo stesso di Io Robot), ultimo ritrovato in fatto di tecnologia digitale leggera ad alta risoluzione, in grado di offrire un risultato finale di toni e luci qualitativamente molto vicino a quanto prima si otteneva lavorando con la pellicola. Da grande cineasta qual’ è, però, Proyas riserva il meglio di sé per il gran finale, dove il modello Twilight Zone esplode con prepotente attualità nella mente di chi guarda come forse solo The Mist, in tempi recenti, aveva permesso di ricordare, mentre la disperata cattiveria dell’apocalisse spazza via qualsiasi tipo di riconciliatoria bontà suggerita dall’abbraccio familiare, facendo definitivamente deragliare l’opera Knowing dai binari che, fino ad un momento prima, sembravano condurre, sottotraccia, verso destinazioni proprie del cinema di M. Night Shyamalan: fonte di ispirazione si, ma fino ad un certo punto.

La potenziale grandezza di Segnali dal Futuro va probabilmente ricercata nella vecchia edizione in DVD di Dark City, precisamente in quella copertina dove spiccava, sfacciato, il talloncino CULT. Knowing, nonostante l’inspiegabile scetticismo che ha accompagnato la sua uscita nelle sale italiane, possiede tutte le potenzialità per appaiare i picchi di gradimento raggiunti dal suo predecessore. Sicuri di poter un giorno esclamare <<l’avevamo detto>>, ci accontentiamo oggi di un’altra certezza: trattasi di film che invecchierà bene. Cosa che non è da tutti.

 

(27/09/09)

 

 

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