SHERLOCK HOLMES – GIOCO DI OMBRE di Guy Ritchie
REGIA: Guy Ritchie
CAST: Robert Downey Jr, Jude Law, Noomi Rapace, Jared Harris
SCENEGGIATURA: Kieran Mulroney, Michele Mulroney
NAZIONALITA’: Regno Unito, USA, Australia
ANNO: 2011
T.O: Sherlock Holmes: A Game of Shadows
USCITA: 16 dicembre 2011
Cosa hanno in comune alcune bombe esplose a Strasburgo e Vienna di supposta matrice anarchica con la morte avvolta nel mistero di un industriale americano? Elementare: James Moriarty. Il Prof Moriarty, diabolico criminale, fine stratega, uomo dalla doppia personalità. Stimato intellettuale con attitudini per la scienza, questi ha il maledetto hobby per il traffico d’armi e i complotti su larga scala. Una figura così affascinante non poteva che essere la nemesi perfetta del detective più famoso di tutti i tempi, nato dalla fantasia di un medico di Edimburgo. Se nella Londra dell’immaginazione di James M. Barrie, infatti, basta seguire la seconda stella a destra, per Sir Arthur Conan Doyle, tutte le strade conducono al 221 di Baker Street, dimora di Sherlock Holmes e il dottor John Watson. Personaggio non privo di debolezze, Holmes non ha rivali nelle indagini poliziesche, in barba all’ispettore Lestrade, con tanti cari saluti a tutta Scotland Yard. Moriarty, acerrimo antagonista dell’investigatore con il vizio dell’oppio è il vero personaggio aggiunto di questo nuovo lungometraggio sempre a firma Guy Ritchie. Dopo aver messo in scena le tragicomiche avventure di delinquenti senza futuro, bande del buco di periferia, lestofanti sanguinari dal nerissimo sense of humor, il regista di Lock & Stock torna sul grande schermo amplificando in modo esagerato tutti gli elementi funzionali al successo del primo capitolo. Dalle fonti letterarie gli sceneggiatori recuperano le testimonianze scritte dell’amico Watson. Ancora una volta però, spicca la prova di un cast impeccabile. Perfetta l’alchimia fra Robert Downey jr e Jude Law, ma qui i riflettori sono puntati su Jared Harris (il Male) e un impareggiabile Stephen Fry nei panni del fratello Mycroft (l’altro Holmes). Peccato per le presenze femminili, relegate a ruoli marginali, specie Noomi Rapace nei panni di una zingara alquanto improbabile. Gioco di ombre è uno spettacolo rocambolesco tra incubi di guerre mondiali, esplosioni, scacchi al re del caos, maschere e pugnali. Il regista sfodera il suo repertorio di sempre, tra flashback e fast forward, ralenti da orticaria, con uno sguardo più attento alla complessità narrativa. L’identità, uno dei temi cardine di questa pellicola (i diversi travestimenti del protagonista, le stragi apparentemente senza mandante, la ricerca di un pericoloso attentatore sotto mentite spoglie) finisce per essere il boomerang di Ritchie, il quale per accontentare più spettatori possibili, si perde più volte lungo un cammino di ben 130 estenuanti minuti. Dal western delle cavalcate nei boschi, treni lanciati a folle velocità e risse da saloon, a certe schermaglie da screwball comedy, con la cronaca un matrimonio che non s’ha da fare, fino alla spy story modello 007 il successo al botteghino è assicurato. L’operazione tuttavia non convince appieno poiché soffre di una mancanza di equilibrio. Evitando di fare inutili giri di parole si potrebbe dire che la figura partorita da Conan Doyle non esiste. Chi volesse vedere più efficaci adattamenti si deve rivolgere altrove. Vita privata di Sherlock Holmes diretto da Billy Wilder del 1970 ad esempio offre un ritratto originale di un eroe malinconico, ambiguo, disilluso e finanche perdente, quasi un Philip Marlowe ante litteram. Anche l’ottima serie della BBC Sherlock funziona, grazie al copione scritto a quattro mani da Steven Moffat e Mark Gatiss e alla sapiente regia del sempre troppo sottovalutato Paul McGuigan. La partita è ancora aperta (esclamerebbe l’inquilino più in vista di Baker St) ma per il terzo capitolo servirà una mossa davvero vincente.