SILENT SOULS di Aleksei Fedorchenko
REGIA: Aleksei Fedorchenko
SCENEGGIATURA: Denis Osokin
CaAST: Igor Sergeyev, Yuri Tsurilo, Yuliya Aug, Ivan Tushin, Viktor Sukhorukov, Vyacheslav Melekhov, Larisa Damaskina, Yuliy Tushina, Leisan Sitdikova, Olga Dobrina
NAZIONALITÀ: Russia
ANNO: 2010
USCITA: 25 maggio 2012
TITOLO ORIGINALE: Ovsyanki
ELEGIA LIQUIDA IN AMBIENTE LIMINALE
C’era una volta, in un lontano paese di umidità e brume, sulle rive del grande fiume Volga, al crocevia delle rotte commerciali che per secoli hanno fatto comunicare il profondo e bianco Nord europeo con il Mediterraneo della canicola e dei profumi agresti, viveva il popolo dei Merja, un popolo senza dei e senza rimpianti, innamorato della vita e dell’elemento liquido col quale la vita ha più familiarità, il substrato da cui è nata, viene cullata, e in cui confluisce quando la sua parentesi mortale finisce: l’acqua.
E l’acqua, come il tempo, come la pellicola tra i passaggi-guida del proiettore o i fotogrammi tra un’istanza di processamento e l’altra della nostra CPU alle prese con un player video, scorre. Scorre davanti agli occhi dei protagonisti di questa storia russa antica e moderna, attraversata da ponti, fiancheggiata da villaggi e città, abitata da spiriti dei morti e desiderata dal cuore dei vivi come unica sostanza di purificazione, di quello sciogliersi che il Leopardi chiamava “naufragare”. La via d’acqua del viaggio di Tanya, la moglie morta del Miron di Silent Souls, è la protagonista di un film fatto di silenzi e timidi ricordi narrati fuoricampo, fragili che sembrano spezzarsi se li declami a voce troppo alta. E ti sembra di vedere davanti agli occhi l’immagine impossibile di Tanya e Miron come Zylphia e Qwfwq, imbambolati davanti all’oceano torrido e fiammeggiante primordiale del racconto di Calvino (Ti con Zero), o come Hari e Kelvin a guardar dalle finestre della stazione spaziale il misterioso magma di Solaris, coppie impegnate a perdersi dentro un oblio liquido e dolce.
E tuttavia, Tanya è morta, qui ed ora, prima ancora che il film cominci e allora questa della coppia rimane solo una fantasia affascinante, un’allucinazione perversa e malinconica. Tanya non c’è più, non abita più il corpo che ha rinchiuso dentro di sé quel mare che in principio lo circondava, e a Miron rimane il compito di salutarla, di restituirla all’acqua. Sceglie un compagno di viaggio, Aist, e insieme si lasciano trasportare dalla strada e dalle usanze degli antenati Merja, per consumare l’ultimo tragitto possibile all’uomo e alla sua perdita, quello che si fa al limite tra la vita e la morte.
Cronaca di un funerale di donna, di popolo, di umanità, Silent Souls ci ha accompagnati lungo fiumi mai visti, scoperto immagini mai toccate dai nostri occhi, trasmesso emozioni raramente concesse alle corde dell’anima, in una immagine-poesia magnetica e soave, scorcio futile e meravigliosamente vano di un paradiso altro, come il canto degli zigoli che accompagnano i morti dei Merja, impercettibile nel caos del mondo ma assordante nell’assenza quando improvviso si fa silenzio. Sipario.