SOGNI E DELITTI
REGIA: Woody Allen
SCENEGGIATURA: Woody Allen
CAST: Ewan McGregor, Colin Farrell, Tom Wilkinson
ANNO: 2007
A cura di Sandro Lozzi
LA TERZA FACCIA DELLA MEDAGLIA
Due anni fa, parlando di Match point su queste stesse pagine,
scrivevo che “il delitto perfetto può esistere, se si ha fortuna”;
il detective Banner è sulle tracce di Chris Wilton, e lo prenderebbe se
non fosse per una diabolica macchinazione del destino. Dieci mesi dopo, con Scoop, Allen ribaltava completamente il
discorso, non solo nei toni (dal giallo alla commedia, anzi, da una commedia
truccata da thriller a un thriller truccato da
commedia) ma soprattutto nella tesi portata avanti: il colpo di fortuna può
essere anche quello che mette gli investigatori, anche quelli più sgangherati,
sulle tracce del vero colpevole (nel caso specifico, il fatto che Peter Lyman smarrisca il gemello
nella stanza di una delle vittime del serial killer).
Con il terzo capitolo di questa sorprendente trilogia, Allen si piazza non tanto a metà
strada tra i due estremi, quanto prima del bivio che li separa.
In Sogni e delitti, gli investigatori
appaiono soltanto alla fine e di sfuggita: li vediamo, nella penultima scena
del film, al molo, che hanno evidentemente appena
effettuato i primi accertamenti sul luogo del delitto, e iniziano a formulare
le prime ipotesi su cosa e come possa essere successo. Nell’ultima
sequenza, vediamo Angela e Kate che continuano
tranquille a fare shopping, nessuno le ha ancora
avvertite. Stacco netto e titoli di coda, con tutto il suo cinismo Allen se ne va e ci
lascia soli di fronte a due donne certe di un felice futuro che non vivranno,
ci fa quasi calare nei difficili panni di chi deve avvertirle della tragedia.
Il film si chiude lasciando in sospeso tutto quello che sarà (che potrà essere)
sulle indagini e sulle ricostruzioni di quello che è stato, ricostruzioni
affidate non solo alla polizia ma anche e soprattutto alle due ragazze, come ci
suggerisce quella disturbante ultima scena. I poliziotti
infatti sembrano aver già superficialmente bollato il caso come una
sorta di incidente dovuto all’alcol e alla droga; le due ragazze sapranno
fare maggiore chiarezza? Quanto sapevano dei loro
fidanzati (ennesima digressione alleniana
sull’incomunicabilità)?
Sono numerosi gli interrogativi aperti da Allen con quel finale, ma il suo
vero senso forse non è tanto una domanda quanto una risposta. Chiudendo sulle
due ragazze, facendoci dunque immaginare quello che sarà in confronto a quello
che avrebbe potuto essere, Allen dà forse la risposta definitiva alla domanda motrice
di questo intero trittico sull’omicidio: «esiste
il delitto perfetto?». Ebbene, dopo aver esplorato
l’argomento, Allen
dà l’unica risposta possibile: il delitto perfetto non può esistere, per
definizione, semplicemente perché è sbagliato. Lo diceva del resto già in Match point,
con i fantasmi che Chris continua
a vedere alla fine oltre lo schermo, oltre il film; lo diceva in Scoop, dove la variabile aleatoria da
probabilità di successo diventa la probabilità di fallimento. Lo diceva in Misterioso omicidio a Manhattan,
in Pallottole su Broadway,
in Crimini e misfatti, ne La maledizione dello scorpione di giada. Lo dice,
quanto mai chiaramente, in Cassandra’s dream, dove gli stessi protagonisti se
ne rendono conto e parlano in continuazione di punto di non ritorno. Il delitto
perfetto è quello di cui non rimane traccia, ma Allen chiarisce che traccia non è solo un’impronta digitale o l’arma
del delitto: la traccia è soprattutto quella che resta dentro, sulla propria
coscienza, e quella non si può né cancellare né bruciare o buttare in una
fogna. Quella è la traccia che rimarrà sempre, negando la perfezione a qualsiasi
delitto: la dimostrazione del teorema avviene per assurdo.
Non c’è bisogno di colpi di fortuna né c’è da sperarci, da una
parte e dall’altra, e questo Allen ce lo fa capire bene già
nella prima parte del film. Terry è schiavo del
gioco. Lo vediamo sempre mentre sta perdendo soldi e ricorre agli strozzini, lo
vediamo in questi momenti perché questa è la sua realtà. Poco importa che poi
per un momento la fortuna giri e lui azzecchi un cane alle corse o un paio di
mani a poker – e infatti Allen questi momenti li taglia
saltando subito alla scena successiva, facendoci anche dubitare che le vincite
che Terry annuncia siano effettivamente avvenute
– tanto sappiamo che è condannato, e infatti non avremo nessun dubbio
quando Terry annuncerà invece al fratello Ian la disastrosa perdita di novantamila sterline, perdita
nascosta all’occhio dello spettatore con un’ellissi esattamente
come le vincite precedenti.
Vincite e perdite parimenti tagliate via. Tagliate via come il delitto
(nascosto dietro una siepe) e come la morte proprio di Terry,
l’unico modo in cui poteva andare a finire, come la lezione del gioco
d’azzardo avrebbe dovuto fargli capire. Non è questione di fortuna o di
sfortuna: si perde nel momento stesso in cui si inizia
a giocare. Giocare con i soldi, o giocare con la vita.
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