SPEED RACER
REGIA: Andy & Larry Wachowski
SCENEGGIATURA: Andy & Larry Wachowski
CAST: Emile Hirsch, John Goodman, Christina Ricci
ANNO: 2008
A cura di Pierre Hombrebueno
ESTETICHE DI UN NEO-FUTURISMO
Iper-esaltazione di tutto ciò che esprime idee di
(post)modernità, il mondo delle macchine e l’immaginario di un futuro che
ha ormai raso a suolo le percettività del passato, che con
l’industrializzazione (softwarizzazione) del
Cinema è riuscito ad imprimere su pellicola il nucleo ricreativo che fu dei Marinetti, la fottuta velocità, che sappiamo essere (tornata) soggetto
privilegiato del Cinema dagl’anni 90’ in
poi.
I Wachowski vanno addirittura oltre, creando un
mondo più veloce della velocità stessa: in Speed Racer lo spazio e il tempo paiono
annullarsi, lo spostamento (aka: il movimento) è
impercettibile nella sua placa dinamicità, nel suo apparente teletrasportarsi da una dimensione all’altra, da un
flashback del passato al vissuto del presente, in un turbinio di mescolarsi diegetico ed anti-diegetico che
pone fine alle distanze, spezzando così ogni possibile linearità nei sensi (o
meglio, nel sentire). Che poi, non si potrebbe non parlare di tempo
filmico con film-makers quali i Wachowski, che già nei Matrix hanno
ampiamente sperimentato l’infrangersi (e il fermarsi) dei corpi e della
gravità; allora, possiamo considerare Speed Racer
come un potenziamento teorico (poi immediatamente pratico) di questa ricerca
formalista e tecnica che i due fratelli stanno portando avanti da tempo, e che in quest’opera
si delinea chiaro e tondo in un neo-manifesto del neo-futurismo, che per forza
di cose vede nel Cinema il suo medium più idoneo e realizzato.
Non
c’è reale messa in scena, piuttosto è tutta una messa in montaggio, come
dimostra l’incipit, che rinchiude ed espande in
20 minuti tutto ciò che potrebbe essere il plot di un film intero, passato
– presente – e indirettamente futuro, già lì coesistenti nella
stessa dimensione di stasi che si fa pieno del suo dinamismo intercorrelato di
immagini: primissimi piani, computer grafica, e visioni fantasmatiche
che si fanno sovrimpressioni nel virtuale. Il video-game è post-moderno, e
allora Speed Racer deve
necessariamente somigliare ad una ludica essenza di virtualità, dove tutto è
palesemente falso e artificio, ma proprio per questo nient’altro che
pezzi di pongo modellabili a proprio piacere,
esattamente come i primi trucchi cinematografici che furono di Méliès, con la
differenza che nel Cinema delle origini il pubblico era facilmente ammaliato da
questi trucchi, mentre oggi, nel post-modernismo, il trucco è già pre-svelato quanto accettato e ormai messo fuori
discussione dalla sua convivenza con la percezione giornaliera. Così, non
riusciamo affatto a lamentarci della mancanza di profondità spaziale in certe
scene di questo film (come per esempio la visita all’industria del
magnate Royalton), perché nell’opera(zione) non è più richiesta la vero-somiglianza estetica,
bensì, semplicemente, la partecipazione al gioco,
all’”esperienza”.
Dopo la
rivoluzione Matrixiana, i Wachowski re-inventano nuovamente
il Cinema nello stesso momento in cui lo rimettono in discussione, il tutto col
fare da perfetto Futurista, cioè distruggendo e
scavalcando il passato, da tutte le regole messainsceniche
del classicismo fino allo stesso uso del digitale come impressionante del vero
nella contemporaneità più prossima; persino Il
Signore degl’anelli è già sorpassato, in quanto troppo legato al suo
voler principalmente narrare con cristallina linearità, e i Wachowski non tollerano più il
primato della narrazione, nemmeno nel semplice scorrere da un’immagine
all’altra, dove la quiescenza è inavvertito teletrasporto
di crono-meteorologia, come già in quel recente Jumper di Doug Liman, che eppure ha preferito dare
privilegio all’action e all’avventura piuttosto che alla teoria. Al
Cinema di oggi basta stare fermi, per essere veloci.
Speed Racer non è
giostra iper-tecnologica o fotografia moderna o idea
o cartoon od ologramma ma tutte queste cose messe insieme, nuova materia grigia
da contemplare ed eventualmente da studiare, un travalicare ed un andare oltre
laddove eravamo abituati a stare, dove tutto sa di
falso ma di un falso così fottutamente attraente per
le ventate di novità che porta, il grado di un ri-evoluzionarsi
non solo nel linguaggio cinematografico, ma in tutta la sfera comunicativa. La
sala si tramuta in una discoteca labirinto di luce e fosforescenza quasi
accecante, dove le informazioni che siamo obbligati a
ricevere vanno oltre la nostra capacità ricettiva; in questa dimensione in cui
la velocità della luce è stata sorpassata rompendo ogni barriera
spazio-temporale, basta socchiudere un momentino le palpebre e dal deserto
possiamo finire nell’artico.. basta una distrazione di 2 millesimi di
secondo per riuscire a passare dall’ieri al domani.
Non
sappiamo esattamente se come dicono nel film, “questo è l’inizio di
una nuova era”, ma i Wachowski ci obbligano a tenere gli occhi aperti, pensando e
riflettendo su quel futuro che un po’ ci fa paura per tutto ciò che
comporterà, cioè la necessità di un trapianto di nuovi
occhi (magari meccanici) con cui vedere ed assimilare le immagini e il loro
(de)comporsi.
Allora è proprio vero: ogni qualvolta che ci pare di aver finalmente capito il
Cinema, esso ci sfugge nuovamente di mano. Il che, diciamocelo, da un lato è
quasi strabiliamente bello ed eccitante.
(15/05/08)