LA
SPOSA CADAVERE
REGIA: Tim Burton
SCENEGGIATURA: Pamela Augist, John
Pettler, Caroline Thompson
ANNO: 2005
A cura di Luca Lombardini
C’ERA UNA VOLTA
Undici anni dopo Nightmare berore
Christmas, Tim Burton torna alla tanto amata tecnica dello stop motion per trasporre sul grande schermo
questa nerissima fiaba russa, che pare essere ispirata a fatti tanto antichi
quanto reali. La sposa cadavere equivale ad un biglietto di sola andata per il
meraviglioso mondo dei generi cinematografici, un cocktail analcolico che deve
il suo irresistibile sapore al mix di melò,
horror e black comedy, miscelati alla perfezione dalle sapienti ed
esperte mani del buon Tim che, come da tradizione,
decide di animare una fiaba per un pubblico rigorosamente accompagnato da
adulti. Rispetto al suo folgorante fratello maggiore, The Bride
Corpse sposta l’attenzione sull’amore e
sull’infatuazione, sentimenti puri e universali che vengono
osservati da un’angolazione a dir poco bizzarra. Il cinismo dei matrimoni
concordati infatti, figlio dell’opportunismo e
della paura di perdere il titolo nobiliare che si tramanda da generazioni,
viene contrapposto al sogno infantile e sincero di una sposina finita troppo
presto nell’aldilà, che però in cuor suo continua a sognare il giorno
perfetto, quello che avrebbe dovuto essere il più bello della sua vita.
L’ultima fatica di questo sublime cineasta non aggrada tanto per le sue ammaliati tecniche di messa in scena, quanto per la
riflessione che Burton effettua sulla vacuità e
sull’aridità delle emozioni dell’universo popolato dai comuni
mortali, che viene raffigurato nella cupezza e nel grigiore di un paesino
qualunque che sembra uscito da un vecchio horror targato Universal.
Il distacco dei genitori di Victoria, le ossessioni nobiliari della madre e del
padre di Victor, il losco figuro che si auto invita al
matrimonio e il sinistro profilo del sacerdote, sono le figure che popolano
questo agglomerato di poche anime, sonnacchioso e pettegolo, che si scuote solo
una volta udito lo scampanellare dello strillone. Al piano di sotto invece, si
fa festa tutto il giorno, pardon tutta la notte:
canti, balli, risate e brindisi a non finire, il tutto condito da un clima di
festa e di collaborazione reciproca, con i “residenti” che, appena
appresa la notizia di un nuovo arrivo, si precipitano in piazza per accoglierlo
come si deve. Un non luogo dove “tutti sembrano aver
fretta di andare” e dove si può ritrovare il fido e giocherellone
cagnolino. La sposa cadavere è il cartone animato del giorno dei morti
messicano, una pellicola che ha un’impennata magistrale nel momento in
cui i defunti, armati di tavolozza e colori, ritornano a calpestare il cupo
giardino dei vivi, un altissimo momento di cinema attraverso il quale Burton estremizza e anima le ossessioni romeriane,
arrivando a scomodare, attraverso gli occhioni di un
bambino che riconosce il proprio nonno, il pensiero di Eckhart, quasi a volerci suggerire che il mondo dei morti
non è poi così brutto, e che forse alle volte (soprattutto quando si lascia
viaggiare la fantasia), è meglio essere degli allegri scheletri piuttosto che
dei noiosi umani in carne ed ossa.
Oltre agli applausi però, i titoli di coda de La sposa
cadavere non cancellano totalmente i dubbi sullo specifico momento creativo del
regista, che con Big Fish ha forse raggiunto
l’apice della sua gloriosa carriera. Da lì forse qualche cosa è cambiato, e sia il remake di Willy
Wonka che The Bride Corpse, sembrano appartenere ad una fase minore della sua filomografia, una pausa fisiologica che Burton
affronta in maniera diametralmente opposta rispetto alla maggior parte dei suoi
colleghi. Al posto di concedersi una meritata pausa di riflessione, il nostro si
getta a capofitto nel lavoro, facendo uscire addirittura due film quasi in
contemporanea. Quello che non convince del tutto in quest’opera,
però, è la mancanza di profondità: La sposa cadavere non riesce infatti a sferrare il colpo di grazia, non emoziona fino in
fondo ma solo a tratti, tutto il contrario di quello che avviene invece nella
maggior parte dei suoi film. Il sospetto è che Burton
sia un po’ a corto di idee (cosa di per se
comprensibile visto che in Big Fish aveva concentrato
tutto il suo modo di fare e pensare cinema), e che con le ultime due sue
fatiche si sia preoccupato un po’ troppo del palato fine dei suoi storici
fan, sacrificando i canovacci di progetti affascinanti quanto pericolosi,
sull’altare di una messa in scena e di una narrazione che inizia a
sembrare formulistica. In parole povere sembra sia
venuto meno il colpo di coda, il balenio al quale tanto bene ci aveva abituato,
quello che gli ha permesso di divincolarsi dalle banali etichette tipo
“autori della nuova generazione”, e che lo ha spinto a girare i
suoi due film più controversi ( Edward mani di
forbice ed Ed Wood) tra e subito dopo i due Batman.
La Sposa cadavere è una pellicola “che ti aspetti”, (molto)
piacevole, ma anche riconoscibile nella sua evoluzione sullo schermo, e se nel
remake del film di Mel Stuart
non è riuscito a riproporre l’inquietudine
involontaria di alcune scene dell’originale, optando per la citazione cinefila (come nel caso della sequenza ambientata nella
stanza del televisore) senza affondare come si deve la lama nel burro (un
finale meno consolatorio lo avrebbe trasformato veramente in una fiaba gotica),
in questa sua ultima pellicola ritorna ad omaggiare la figura pionieristica di Ray Harryhausen e la sua
devozione per i musical di Edwards, affidandosi ai
suoi due attori feticcio per eccellenza nel tentativo, riuscito solo in parte,
di far rivivere la stessa atmosfera del ’94, quando cioè organizzava il
ratto di Santa Claus. La sposa cadavere non è un film
sbagliato, ma non possiede la stessa magia di NBC, indi per
cui, scambiarlo per un perfetto esempio di coerenza narrativa sarebbe un
grave errore; si deve perciò prendere il coraggio a due mani, e ammettere che
uno dei più grandi registi americani contemporanei sta attraversando un periodo
di stanca, dal quale bisogna solo augurargli di uscire al più presto, magari
attraverso la realizzazione di un suo vecchio sogno: il remake de Il gabinetto
del dottor Caligari.
Troppo severo ? Andiamo…stiamo parlando di Tim Burton, mica di un
mestierante qualunque!
(13/11/05)