SUMMERTIME SADNESS: STAND BY ME – RICORDO DI UN’ESTATE di Rob Reiner
REGIA: Rob Reiner
SCENEGGIATURA: Raynold Gideon, Bruce A. Evans
CAST: Wil Wheaton, River Phoenix, Corey Feldman, Jerry O’Connell, Kiefer Sutherland, Richard Dreyfuss
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 1986
L’ETA’ DELL’INNOCENZA… PERDUTA
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni; Gesù, ma chi li ha?” Sono le ultime parole apparse sul monitor dello scrittore Gordon Lachance (Richard Dreyfuss) prima di chiudere i conti con il passato. In quel lontano ricordo d’estate, una cittadina dell’Oregon salutava il viaggio, in gran segreto, di quattro ragazzini armati di coraggio, spirito d’avventura e una sana incoscienza, alla ricerca di un corpo che gli cambierà la vita per sempre. Rob Reiner cineasta di razza dimenticato dalla Hollywood che conta riusciva nel 1986 a compiere un duplice miracolo: portare sullo schermo (senza tradire lo spirito di fondo dell’idea originale) uno dei racconti più riusciti di Stephen King e dirigere giovani attori, per una pellicola dal sapore leggendario. Reiner si farà apprezzare da critica e pubblico con la spigliata novella di marca alleniana Harry ti presento Sally ma, ancora una volta, sarà il legame con il maestro del brivido di Bangor a portare fortuna alla sua carriera, grazie al felice adattamento di Misery non deve morire. La grande occasione però arriva dopo aver diretto la commedia musicale This is Spinal Tap e il giovanilistico Sacco a pelo a tre piazze con John Cusack, quando grazie a un film entrerà nella storia del cinema. Prezioso, intenso, coinvolgente, profondo, da conservare nel tempo, Stand by me è un gioiello da vedere e rivedere, per nulla scalfito dalla ruggine degli anni: i protagonisti con addosso gli abiti dei personaggi descritti sulla carta non sfigurano nelle interpretazioni, forse perché dietro la loro immagine di creature di fantasia si celano persone reali, antieroi di carne e sangue, esseri pieni di passioni e fragilità. Ancora non è l’ora dei magnifici Perdenti di Derry alle prese con il Male dal volto terrificante e clownesco di Pennywise, eppure nel ritratto di questi figliastri di provincia si scorgono tutti i desideri, le ansie e le paure di quella giovinezza nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza. I nostri (Wil Wheaton, Corey Feldman, Jerry O’Connell e il dannato River Phoenix) davanti alla macchina da presa riescono a trasmettere simpatia, affetto e comprensione; nell’animo di ciascun ritratto si nasconde un profondo e incolmabile vuoto,dal talento sofferto, all’ineluttabilità del destino, alla difficoltà di crescere e per finire alla stravaganza come arma per difendersi dal mondo. Questi non vengono dipinti come intrepidi boy scout, audaci esploratori in cerca di fama, un mucchio di buoni a nulla pronti soltanto a divertirsi: qui ogni esistenza è segnata dal dolore, dalla povertà, dall’ignoranza e dalla disperazione. Così se Gordie si sente un estraneo in famiglia a seguito della terribile perdita del fratello Danny, campione sportivo emblema di un’America vincente, Teddy deve sopportate la follia del suo vecchio, reduce dallo sbarco in Normandia pur amandolo ed emulandolo sempre, mentre Chris sopravvive tra un fratello ribelle senza causa e un genitore alcolizzato. Reiner e gli sceneggiatori Raynod Gideon e Bruce A. Evans candidati all’Oscar decidono tuttavia di non seguire i dettami narrativi del racconto offrendo così a quasi tutti i personaggi, una possibilità, una speranza per l’avvenire: le parole di King invece restano sulla pelle, provocano lividi, grondano sangue e, soprattutto, uccidono senza pietà, sradicando dalla memoria i timidi bagliori di quell’autunno dell’innocenza.