SUPER NACHO

REGIA: Jared Hess
CAST: Jack Black, Héctor Jiménez, Ana de la Reguera
SCENEGGIATURA: Jared Hess, Jerusha Hess, Mike White
ANNO: 2006


A cura di Davide Ticchi

FRA NACHO E IL SUO COSTUMINO

Guardando Super Nacho, o Nacho Libre in originale, torna subito alla mente la letteratura di Juan Martin Muñoz, ai più conosciuto in Italia per il suo “Fra Pierino e il suo ciuchino”, vero e proprio capolavoro della letteratura per bambini, propedeutico alla consapevolezza dell’esistenza di culture e modus vivendi decentrati rispetto ai nostri. A partire da un canovaccio riguardante la vita fraterna in monastero, infatti, dove si cura il benessere degli altri frati e dei bambini orfani, oltre che dei disperati, Martin Muñoz costruiva una favola edificante comprendente avventure, gesti affettuosi, cocomeri e terre arse dal caldo sole, come Hess orchestra una novella dai toni sulfurei e demenziali, senza abbandonare quei personaggi al limite dell’inerzia e della stasi, che gli avevano permesso la fortuna di Napoleon Dynamite, film d’esordio. Una visione folgorante che si aggiudicò immediatamente il titolo di “cult” e diversi premi nei maggiori festival e manifestazioni d’oltreoceano, e che viene qui travasata ma non ripetuta, perché gli spazi, i “caratteri” e le dinamiche sono cambiate, nonché lo sguardo registico che si sofferma meno sui vezzi, i particolari e gli ammennicoli dei personaggi, per sondare meglio il territorio in cui abitano. Così dalla vivace ma uniforme cittadina di provincia americana si passa allo sterrato di una campagna giusto riservata a frati solitari ma dal cuore caldo e premuroso. Non che la palpabile inerzia, remissività delle maschere di Hess sia stata mutata in intraprendenza anche solo morale, i frati, dal primo all’ultimo, appaiono per scomparire dallo schermo, per non incidere sul decorso narrativo ma al contrario per metterlo alla prova, misurando la statura di un cineasta a cui basterebbe macchiettizzare ogni personaggio per accontentare il suo spettatore/estimatore. In realtà questa prova ad ostacoli, che termina con la formazione di un microcosmo ideale dove girano intorno sempre gli stessi personaggi, è destinata a non concedere il quid determinante al pronunciamento della fatidica esclamazione: “questo è un film riuscito!”. Infatti, se molte delle sequenze che stupiscono rimandano proprio all’archetipo omologato di Napoleon Dynamite, con quel gusto sfacciatamente naive e puerilmente demenziale, le restanti altre, nella loro interlocutoria funzione diegetica, rischiano di risultare dozzinali e grossolane. Le lunghe scene sul ring del Wrestling finiscono per appesantire una sceneggiatura già abbastanza ricca di buoni spunti oltre che visivi anche tematici e perché no meramente demenziali. Le gag vivificano solo in determinati punti dello script, centrando in pieno l’obbiettivo, suscitare il riso con improbabili e controproducenti comportamenti umani che non portano altro che alla derisione di sé, che poi è un po’ quella di noi tutti nella comune approssimatività di esseri umani. Così, la rapida successione d’allenamento dei due eroi donchisciotteschi conduce a momenti visuali di estrema ilarità, oltre alla durevole presa sul buon umore dello spettatore, che non è cosa da poco. Un ritorno all’età infantile e spontanea come a quella adulta e corrotta, rappresentata dal circolo di denaro illecito, dalla superbia e dalla violenza. Un dualismo che si ripresenta spesso e volentieri ma che qui rivela tutta la particolarità delle mani di Hess, che gioca con personaggi fatti di pongo e cieli azzurri disegnati. Rivela grande duttilità sul metodo di lavoro tradizionale perché ha qualcosa da dire e lo dice bene, grazie anche al camaleontico volto di Jack Black, talvolta semplicisticamente, ma quasi sempre funzionalmente ad una morale conclusiva, che non vuole né essere buona, né cattiva, semplicemente non vuol prendersi sul serio. Grande pregio ma anche grosso limite, perché pregiudica un adagiamento sui connotati tipici della commedia demenziale, che in Napoleon Dynamite trovavano un erudizione verso l’acume, la genialità, la stravaganza. Ma di questo ci si accontenta perché l’opera comprende nel suo insieme anche ottime musiche, addirittura ballate, e assortite clausole narrative, come la storia d’amore impossibile fra frate Nacho e suora Encarnacion, oltre che una kermesse di personaggi che presi alla distanza, appena tratteggiati, sanno farsi riconoscere come azzeccati, e perfettamente aderenti alle pareti morbide del cinema di Jared Hess.
Non è un caso che frate Nacho abbia l’ardore di aiutare tutti gli orfani a sognare ancora, attraverso un viaggio che si conclude con un tramonto (come in Napoleon Dynamite), e che questo giovane cineasta ci inviti a riflettere su ciò che più è alla portata dell’uomo: l’affetto, che troppe volte tendiamo, come fa il cinema, a tenere nascosto perché considerato un segno di debolezza. Ma se per arrivarci si passa sopra il ring della vita, ci suggerisce intelligentemente Hess

 

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(27/11/06)

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