SUSPIRIA di Dario Argento
REGIA: Dario Argento
SCENEGGIATURA: Dario Argento, Daria Nicolodi
CAST: Jessica Harper, Stefania Casini, Flavio Bucci, Miguel Bosé, Alida Valli
NAZIONALITÀ: Italia
ANNO: 1977
USCITA: 1 febbraio 1977
DI MAMMA CE N’È UNA SOLA (?)
Primo deciso passo di Argento nel genere horror, Suspiria occupa per più di un motivo un posto d’onore all’interno della filmografia del regista romano: innanzitutto perché esaspera le tematiche esoterico-crepuscolari che macchieranno i suoi titoli più assimilabili al cinema fantastico dell’orrore; perché rinsalda collaborazioni artistiche forti, che segneranno il percorso filmografico di Argento (da Daria Nicolodi, attrice del precedente Profondo Rosso, che qui firma insieme al regista soggetto e sceneggiatura, alle musiche dei Goblin); perché rappresenta, anche economicamente, uno dei punti più alti raggiunti; perché dopo la cosiddetta “trilogia degli animali”, proprio con Suspiria, Argento si incammina sulla ben più oscura strada della “trilogia delle Tre Madri” (continuata da Inferno e La terza Madre).
Liberamente ispirata al romanzo Suspiria De Profundis, dello scrittore inglese Thomas de Quincey (che suppone l’esistenza di tre divinità femminile negative, i tre Dolori, oltre alle tre Parche e alle tre Grazie), la vena horror di Argento, già esperita nei precedenti gialli e nel punto-di-non-ritorno Profondo Rosso, prende corpo nelle tre Signore del Dolore: Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum. Sorelle (streghe, esseri superiori o tre delle tante possibili personificazioni della Morte) insediatesi all’interno del macrotessuto di tre grandi città, Friburgo, Roma e New York, rintanate in case-fortezza di cui loro stesse commissionarono la costruzione all’architetto Emilio Vivarelli, con l’unica missione di seppellire l’intera umanità sotto un dominio fatto di dolore, di morte e di oscurità.
Quella di cui Argento racconta le gesta in Suspiria, Mater Suspiriorum appunto, è la più anziana delle tre, e infesta la Foresta Nera, dall’interno dell’Accademia di Danza di Friburgo, da lei fondata nel 1895.
La giovane Susy Benner (Jessica Harper), brillante ballerina di danza classica, si iscrive, per perfezionare la sua tecnica, proprio in quella che lei considera la più importante accademia d’Europa. Il suo inserimento all’interno delle strette maglie della struttura matriarcale sarà tutt’altro che facile, e l’iniziale ostacolo rappresentato dalla diffidenza delle studentesse più anziane si trasformerà in paura, quando il microcosmo accademico inizierà a macchiarsi di rosso, del rosso del sangue delle vittime sacrificali di efferati omicidi.
Il tempo scorre, e le notti dell’Accademia di Danza di Friburgo sono tormentate dall’ansimante respiro di una creatura malvagia e malata, la prima delle Madri, che celò la sua essenza stregonesca dietro alla ritualità della danza (provando a percorre un ideale viaggio nell’antropologia del Teatro e del Rito, la Danza è da sempre religiosa e rituale, prima ancora che artistica), e il male supremo, nascosto e magnificato attraverso un cerimoniale antico, si propaga come una nera malattia.
In Suspiria l’aspetto rituale, popolare, risuona anche nella struttura dello script, pensato come una fiaba nera e inoculata dei racconti di famiglia, sospesa tra credo e credenza, della co-sceneggiatrice e, all’epoca, compagna del regista, Daria Nicolodi. Un senso di fiabesco e di irreale che invade visivamente inquadrature, movimenti di macchina, scenografie (ad opera di Giuseppe Bassan) e colori: il forte senso di sconforto che nasce dalla visione degli ultimi titoli di Argento è proprio dovuto al riscontro della definitiva perdita, da parte del regista romano, di quello che era il suo tratto distintivo più importante e caratteristico.
La fotografia di Suspiria, firmata da Luciano Tovoli, studiata con un corretto incrocio di lenti anamorfiche, luci ad arco e stoffe colorate a far da gelatina, è di certo il tratto distintivo del film, il tocco d’arte che porta Suspiria sul podio dei film più riusciti di Argento: proprio grazie all’atmosfera sospesa, onirica, dipinta di ocra, di rosso, di blu, gli omicidi architettati da Argento risultano ancora più efferati, proprio perché riportano con violenza lo spettatore ad uno stato di realtà. È il sangue che fa la differenza tra l’allucinatorio e il mortalmente tangibile.
Mentre in USA è ormai certa la messa in cantiere di un remake di Suspiria, che avrà Isabelle Fuhrman e Janet Mc Teer nel cast, e David Gordon Green alla regia, esiste già un più che riuscito omaggio europeo al film del regista romano: parliamo del Masks di Andreas Marschall, che dopo aver dichiarato amore eterno al cinema horror italiano con il suo Tears of Kali, riscrive e dirige una sua personale riedizione di uno dei film che più lo hanno ispirato. In Masks l’azione si sposta in un’importante scuola di teatro tedesca (dall’aspetto mistico-rituale) che porta avanti segretamente il metodo teatrale del maestro Gdula che, agevolato dall’uso di stupefacenti, mirava alla distruzione e alla ricostruzione del corpo attoriale degli allievi, attraverso una rinascita pulsante e dolorosa, che nel dolore e nella morte (reale o mistica) aveva i suoi scalini obbligati.
Un’attenzione ancora più che viva, a distanza di trentacinque anni, a dimostrazione che le luci, all’interno dell’Accademia di Friburgo, non si sono mai spente.