SUSPIRIA
REGIA: Dario Argento
CAST: Jessica Harper, Stefania Casini, Flavio Bucci
SCENEGGIATURA: Dario Argento, Daria Nicolodi
ANNO: 1977
A cura di Sandro Lozzi
HORROR, ARGENTO (E BRONZO?)
Il film di maggiore successo all'estero di Dario Argento rappresenta il suo
primo incontro ravvicinato con il genere horror, seppure un certo impianto
formale e linguistico prettamente horrorifico lo
accompagnasse già fin dall'esordio con L'uccello dalle piume di cristallo. Suspiria
nasce dunque dalla volontà di Argento di passare
all’horror, dopo la fortunata serie di whodunit
chiusa, in grande stile, con Profondo rosso (che in Giappone fu addirittura
distribuito dopo il film successivo con il titolo di Suspiria
2).
E in effetti questo splendido lavoro rappresenta una sorta di manuale di
un’estetica dell’orrore sviluppatasi sui film di questo genere nel
corso dei decenni, sin da Il gabinetto del dottor Caligari
di Robert Wiene, le cui
geometrie distorte e distorcenti sono riproposte soprattutto negli interni dell’edificio
(che non a caso si trova in Germania, a Friburgo) in cui si concentra quasi
esclusivamente l’azione. Un’estetica dell’orrore che si
costruisce intorno ad alcuni elementi considerati ormai cliché del genere
horror: dettagli sugli oggetti (del resto già meravigliosamente affrontati da
Argento in Profondo rosso), che nel caso di Suspiria
sembrano richiamare in particolare l’utilizzo “personificatore”
degli oggetti stessi che se ne faceva in Rosemary’s
baby di Polanski e L’esorcista di Friedkin; lunghe e frequenti soggettive minacciose, di
sapore a volte carpenteriano (una lunga soggettiva
dell’assassino che commette un omicidio, come quella magistrale che apre Halloween), ma più spesso e più esattamente hooperiane (in particolare quelle in esterni, i cui campi
medi sembrano usciti direttamente da Non aprite quella porta);
caratterizzazione degli edifici, che diventano, se non protagonisti, comunque personaggi della vicenda (ancora Rosemary’s baby, Non aprite quella porta ed altri;
Argento ha sempre dato grande importanza agli edifici, si pensi ad esempio alla
Villa del bambino urlante in Profondo rosso): in particolare, il palazzo che
Argento ha scelto (cercandolo un po’ in tutta Europa) per girare almeno
gli esterni (gli interni sono stati ricostruiti in studio, poiché non era
possibile occupare l’edificio troppo a lungo) era stato abitato, a suo
tempo, da Erasmo da Rotterdam, autore dell’Elogio della pazzia che tanto
piace al regista romano; movimenti della macchina da presa che sembrano non
finire mai, che rallentano i tempi e con essi dilatano la tensione, espediente
di hitchcockiana memoria; utilizzo di tinte
psichedeliche e un accompagnamento sonoro disturbante, che meritano due discorsetti a parte.
La forte densità dei colori (soprattutto rossi) adoperati da Argento e dal
direttore della fotografia Luigi Kuveiller arriva
direttamente – udite udite! – dai film
della Disney degli anni Trenta e Quaranta; sono
pellicole come Fantasia che hanno convinto il Darione nazionale a procurarsi (anche qui, dopo un’estenuante
ricerca internazionale) gli ultimissimi rimasugli, nei magazzini della Kodak, di un tipo speciale di pellicola, ormai
abbondantemente superato dal technicolor, che essendo particolarmente spessa è
meno sensibile, assicurando in tal modo colori molto densi e grande profondità
di campo.
La colonna sonora, meno memorabile ma ancora più efficace del tema di Profondo
rosso, nasce invece dalle sonorità fluttuanti ed ipnotiche del buzuki, strumento tradizionale greco, che accompagnano lo spettatore nell’inesorabile discesa
verso gli orrori mostrati (o non-mostrati, a seconda dei casi) dalla mdp.
E così come Suspiria è
debitore verso tutta la filmografia horror (e non solo) che lo precede, tutta
la filmografia horror che lo segue è in debito con Suspiria.
Lo stesso Fulci, probabilmente un maestro per
Argento, deve al suo film l’ambientazione (in un collegio femminile)
ripresa per Ænigma, e quella splendida inquadratura
del volo dell’aquila nella Piazza dei tre templi (ottenuta attraverso un
ingegnoso quanto “antiquato” sistema di carrucole e carrelli),
nella splendida scena in cui il cane uccide il padrone cieco azzannandolo alla
gola (probabilmente la sequenza migliore del film, o almeno la più memorabile).
L’obiettivo di Argento era di realizzare un film
senza due immagini uguali, un film dove ogni inquadratura fosse diversa da
tutte le altre, e avesse un suo proprio significato.
Non ricordo se ho visto due inquadrature uguali, ma ricordo bene di aver visto
un gran film.
(11/10/05)