THE ARTIST di Michel Hazanavicius
REGIA: Michel Hazanavicius
SCENEGGIATURA: Michel Hazanavicius
CAST: Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Malcolm McDowell
NAZIONALITA’: Francia
ANNO: 2011
USCITA: 9 dicembre 2011
HO RILANCIATO IL FILM MUTO
PERCHÈ SONO MUTO
(ELIO E LE STORIE TESE, JOHN HOLMES)
Cosa meglio di questa strofa, dell’indimenticabile canzone di Elio, si addice a descrivere l’operazione The Artist e al suo regista Michel Hazanavicius? Non c’è peggior muto, infatti, parafrasando il vecchio adagio, di chi non ha nulla da dire.
O – siamo generosi – poco da dire.
L’inizio del film farebbe anche ben sperare. Un coraggioso formato 1,33:1, proprio quello del muto, che ormai usano solo Paolo Benvenuti eGus Van Sant. Roba da mettere in crisi i proiezionisti di tutt’Italia: prevedibili le proiezioni con teste tagliate. E poi una sontuosa scena di una grande sala, gremita, di gusto retrò, con i suoi balconcini stuccati, una grande orchestra nella fossa ad accompagnare la proiezione di un film muto. La nostalgia per il cinema com’era una volta, dove le proiezioni erano un vero happening. In questo caso la presentazione di un film, con accompagnamento dal vivo, e la troupe presente a ricevere applausi. Tra questi anche un cagnolino che ricorda Asta, il mitico terrier di tante commedie sofisticate classiche, ma anche Milou, il cane di Tintin. Ma, un momento, cosa c’entrano questi due quadrupedi, e in particolar modo il secondo, con il muto? E non è un po’ anomalo il film muto nel film quasi muto, con tutte quelle scene in esterni? E in generale nel film, dov’è Murnau? Dove sono i personaggi alla Douglas Fairbanks o alla Rodolfo Valentino? Erano solo snocciolati per riempire il press-book? Non basta certo chiamare il protagonista George Valentin per richiamare quell’icona cinematografica. E non basta usare l’occhio di bue per ricreare una fasulla estetica da muto, se non si usa quello stesso bianco e nero contrastato. E la recitazione degli attori pure non è quella, caricata e parossistica, dell’epoca. Non sarebbe un problema, quello della correttezza filologica, se il film non si ponesse proprio quello come obiettivo.
Non trapela in alcuno modo un amore vero per il cinema classico, piuttosto The Artist si rivela come un’operazione fredda, un divertissement studiato a tavolino, una galleria di simulacri di facce d’epoca. Con un bella, e insistita, inquadratura del fascio di luce di un proiettore, verso cui il protagonista si volta, che sembra fatta apposta per far cianciare i semiologi di scena primaria dell’enunciazione cinematografica, caverna platonica, ecc. ecc.
Vanno riconosciuti comunque alcuni momenti davvero brillanti. Il protagonista, attore di muto che teme l’avvento del parlato, comincia a sentire i suoni diegetici – l’unico audio fino a quel punto è la colonna sonora – , fino a quello di una piuma che, cadendo a terra fa un rumore forte, innaturale. Potrebbe essere un buono spunto, il personaggio prigioniero del suo essere tale, dell’essere una pura funzione cinematografica, se non svaporasse subito, rivelandosi come un incubo. Poi un cartello con la scritta “bang” inserito dopo la scena del protagonista con la pistola in bocca, ma l’onomatopea si rivela essere riferita, in realtà, allo scoppio di una macchina: un sapiente giocare sull’ambiguo con il linguaggio del muto. E il finale in cui arriva finalmente il suono diegetico: il rumore dei piedi in una danza tip tap e lo stile stesso di regia che cambia: un dolly all’indietro in mezzo ai dolly del film nel film.
Rimane un film grazioso, nulla di più. Si consiglia vivamente di vedere Juha di Aki Kaurismaki o Silent Movie (L’ultima follia di Mel Brooks): operazioni sul muto consapevoli, brillanti e grondanti di autentico amore cinefilo.