THE KILLER INSIDE ME di Michael Winterbottom
REGIA: Michael Winterbottom
SCENEGGIATURA: John Curran
CAST: Casey Affleck, Jessica Alba, Kate Hudson, Elias Koteas
ANNO: 2010
C’E’ UN DISGUIDO IN QUESTO FILM
The killer inside me vuole essere un film sotterraneo, un film di residui: un albero rinsecchito, mostrante il ricordo di uno sfarzo negato di cui rimangono aridità e prossimità mortifera (il Texas, gli anni 40/50), che come tale può solo suggerire le proprie radici (già morte, estese, contorte, ed, ad ogni modo, essenziali) ed il conseguente trip sull’invisibilità, sui moti, i perché, le spinte adrenaliniche, la spietatezza, l’(an)coraggio e, soprattutto, l’emancipazione dalla banalità di un trauma scatenante, di un declino già concluso e precluso, eclissato e pietrificato nell’essere semplicemente “assassino”; perché, della collocazione del titolo,Winterbottom esagera sull’inside e fallisce sul me, smontando qualsiasi ipotesi carismatica (per usare un termine generale d’una buona recitazione che sia presente) riguardo Casey Affleck, che non riesce a distaccarsi (od addentrarsi) nella recitazione, a germogliare adeguatamente – puro miscasting (come per, aggiungendo, per il poco che può contare, il totale fallimento registico di I’m still here) – e neanche a farsi tronco e, tanto meno, ramificazioni di quell’albero morto che viene pensato dall’occhio di Winterbottom, che rimane stantio, dubbioso, senza un filo di vento a ravvivarlo, senza formare un’ombra adatta a raccapezzarcisi, troppo snello e disadorno.
Più che un ammazza e fuggi, riammazza e rifuggi psicopatico (l’apparente exploit sanguinoso che avrebbe potuto essere in mano ad uno degli (continuiamo a chiamarli) artigiani del momento) abbiamo un riammazza e rifletti: gioco di scatole temporali meccanico e funzionale, spogliante di qualsiasi speranza (tranne che lì, in quel climax finale dove il dramma la invoca, per poi subito rimetterla a tacere), ad amplificare la tensione deduttiva, il suggerimento della crisi. MaWinterbottom esagera con il low profile, e tace, dove una parola in più sarebbe stato un peccato veniale perdonabile: flashback d’infanzia che nel meccanismo appaiono come rondelle troppo piccole, spinte troppo brevi, vuoi per una troppa fiducia nel suo protagonista, che ci fa cadere nel bacchettare come piccoli maestri (che non siamo) il film. Mister Winterbottom vuole un attore che sia malsano sguardo congenito ed irrimediabile, di crudeltà allo stato puro, di fantasma dell’adolescenza; una faccia da ragazzino cattivo che si porti sulle spalle tutto il film (suggerendo ciò che le immagini non vogliono o non possono dare) e quindi sceglie Casey Affleck che di anni ne dimostra quindici, è “molto americano” (ma non quanto il fratello) e in certa desolazione americana ha già recitato. Ma questo volto da ragazzino, fa tutto come se fosse un ragazzino, lasciando aperte anche ipotesi androgine. Questo volto da ragazzino stride con tutto quel che gli sta attorno, e sembra una parodia di sceriffo, sembra Emilio Estevez in Palle in canna o Charlie Sheen in Hot shots.
Questo volto da ragazzino, è inspiegabile come possa intraprendere una relazione con Jessica Alba.
Questo volto da ragazzino rende il sadomaso buffo, weird.
Questo ragazzino potrebbe essere sostituito da un bollino nero e il film ne guadagnerebbe.
Oppure, semplicemente, tra attori, regista, produttori le imposizioni inappellabili hanno inciso ed ucciso.
Protagonista e contesto e regia sembrano non comunicare tra di loro, con ragioni e capacità lontane se non opposte, se gelida psicosi e passione si riconoscono e stanno ognuna al proprio posto, in mancanza di sfumare, incrociare, porre in dubbio; se il regista sembra costretto (pur senza imputare verso che cosa) e stitico, se l’attore protagonista è alieno al tutto, se i coprotagonisti sembrano uscire da delle caselle al proprio turno, se dono della sintesi e logorrea si scambiano indebitamente, se nessuno dei mood possibili riesce a danzare con un altro, ad imporsi per più di una scena; se tutto il desiderio spettatoriale (che di continuo, sì, torna a bussare) che Winterbottom riesce a far emergere finisce sempre per essere buggato.
E l’unica certezza è che a Michael Winterbottom certo classicismo non si confà.