LA TIGRE E LA NEVE
REGIA: Roberto Benigni
CAST: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Jean Reno
SCENEGGIATURA: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami
ANNO: 2005
A cura di Pierre Hombrebueno
ONCE MORE WITH FEELING: LA VITA E’ (ANCORA E SEMPRE)
BELLA
E d’improvviso, mi ritrovai in una selva oscura.
Oppure, nella Valle dell’Eden, diviso tra bene e male.
Perché Benigni è difficile da prendere e da analizzare; scindere
l’oggettività dalla più pura soggettività diventa in questo caso, impresa
eroica di contraddizione verso sé stessi (e di conseguenza verso i lettori),
che sfocia in un trip personale alla guilty(?) pleasure.
Ma mi chiedo se Benigni sia realmente un guilty pleasure.. E se fosse così,
sarebbe peggiore amare La tigre e la neve, o fingere di non amarlo? Mi tolgo
subito il peso della seconda opzione affermando e gridando a voce alta che amo
La tigre e la neve all’impazzata. Ho pianto dopo 5 minuti di immagini, di
quel sogno visivamente magico, che più di ogni altra scena incarna in sé il
messaggio e il valore etico di tutto il film: la volontà e il coraggio di
sognare una vita bella rafforzata dall’arte. Ed è così che troviamo
condensato in 5 minuti tutto ciò che Benigni intende amare e farci amare: la
forza delle immagini, della poesia, e della musica (con memorabile comparsata
di Tom Waits).
Il pregio/difetto di Benigni è essenzialmente questo: La tigre e la neve (così
come gran parte della sua filmografia) poggia le proprie basi sul personaggio
Benigni/Attore stesso. E’ lui il cuore pulsante dell’opera, le sue
mimesi, le sue facce, i suoi versi, le sue parole, le sue poesie. Di
conseguenza, chi odia l’attore Benigni finirà automaticamente per odiare
il suo film, così come chi ama il Benigni attore amerà La tigre e la neve.
Il sottoscritto, lo ripete ancora una volta, ama Benigni, perché è il nuovo
Chaplin. L’unico (almeno in Italia) che riesce ancora a farci ridere e
piangere contemporaneamente. L’unico che ha ancora il coraggio di
affrontare i drammi con quel senso di buonismo che trova nella poesia il suo
punto di appoggio. E così come il fulcro emotivo di Chaplin era il suo
alter-ego Charlot, anche in Benigni, il personaggio principale che interpreta
si trasforma in movente, in questo caso Attilio, un professore di poesia finito
in Iraq per cercare la sua amata.
Sembrerebbe apparentemente il trionfo dell'attore contro l'autore, ma non
dimentichiamoci la personalità che muove e controlla i fili del Benigni/Attore/Pinocchio/Burattino:
Egli stesso, Benigni/Regista. Il Cinema del (tragi)comico toscano è più
autoriale di quanto appare, più personale in quanto mostra allo specchio lo
spoglio completo del suo autore/attore. L'archè dell'autore/regista Benigni non
è altro che l'attore Benigni. Insomma, nel Cinema abbiamo le reazioni
introspettive all'inspiegabile di Shyamalan, il buonismo Spielberghiano, il
neo-classicismo di Eastwood, e si, anche il Benigni di Benigni.
Egli riesce, ancora una volta, a portare a compimento la sua traduzione
inter-semiotica, la metamorfosi che trasforma la poesia letta o la musica
ascoltata in immagini, in messa in scena, in quadri meravigliosamente toccanti,
come quello del cielo stellato sopra una Baghdad in fiamme che mi ha
emotivamente ucciso e resuscitato.
Ricordo la Notte degli Oscar in cui Nicole Kidman, nel suo discorso di
ringraziamento, disse: “Molti ci chiedono se sia giusto che noi siamo qui
a festeggiare mentre i nostri soldati sono appena stati mandati in Iraq.
E’ giusto? Si, perché l’Arte è importante. L’Arte è
importante.”
Un ringraziamento secco e semplice come Benigni, ma una frase che mi riecheggia
nel cuore tutt’ora, una dichiarazione d’amore eterno che raccoglie
nella sua semplicità anche tutte le sue conseguenze.
E si, non è neanche del tutta infondata quella critica che seppellisce Benigni
dicendo che La tigre e la neve è formulata par pari a La vita è bella. Che non
c’è nulla che abbiamo visto qui che non sia già emerso in altri spazi e
in altri tempi nel suo oscar-movie.
Ma forse, tutto questo non è che la dimostrazione di una cosa: Il mondo,
dall’olocausto alla guerra in Iraq, non è affatto cambiato. C’è
ancora tanto male, tanto dolore e sofferenza.
Come combatterla? Non a suon di bombe, ma con la voglia di vivere e la poesia,
perché niente è impossibile.. neanche vedere una tigre camminare sotto la neve
a Roma.
Ieri, come oggi.
(24/10/05)