TRISTANO E ISOTTA

REGIA: Kevin Reynolds
CAST: James Franco, Sophia Myles, Rufus Sewell
SCENEGGIATURA: Dean Georgaris
ANNO: 2006


A cura di Pierre Hombrebueno

CARTOLINA ANESTETIZZATA

E’ proprio vero
che talvolta, un brutto bruttissimo film, riesce ad insegnare qualcosa più di un buon film. Un bruttissimo film infatti, riesce ad insegnarci a sviscerare mentalmente le varie strade alternative che avrebbero potuto portare tale film ad essere perlomeno decente. In soldoni: Un film indecente dà l’idea di come dovrebbe invece essere un film accettabile. In questo senso sociologico (e stimolantemente fantasioso), Tristano e Isotta è utile, perché raggruppa tutto ciò che non vorremmo mai vedere in un’opera cinematografica che si prefigge di raccontare un grande amore, del più grande sentimento passionale che l’uomo possa mai avere, tanto da paragonarsi a Romeo & Giulietta, già di per sé una confrontazione sbagliata in quanto le vicende di Tristano e Isotta sono molto più vicine e riconducibili ad un’altra coppia, quella di Lancillotto e Ginevra, ma tant’è..
Dunque, il sentimento al di sopra di ogni cosa. L’anima, l’interiorità irrazionale, oltre il cuore.

Andiamo all’angolo dei consigli, ripercorrendo due variabilità (tra le tante) che si potrebbero inseguire per il tentativo assimilatorio di un racconto come Tristano e Isotta. Un primo approcciarsi alla passione lo ritroviamo negl’insegnamenti di Dreyer, nel suo abbondante uso dei primissimi piani per cogliere appieno nella fotogenia del cast tutto il loro lato più umano. Dunque, umanizzare il più possibile la finzione, scavare nel realismo scenico per riportare agli spettatori non l’oggetto tecnico che è il Cinema, ma il suo lato più idealista, appunto romantico, ardente, perché il diretto volto umano riesce sempre a irrazionalizzare il razionale, a strappare anche da un giocattolo la sua parte ed essenza più vera. Non è un caso se Dreyer ha largamente anticipato tutto il Neo-realismo, fino a giungere al Dogma VonTrieriano.
Una diversiva, come c’insegna il post-moderno, anche se meno funzionale, potrebbe essere invece la nuova messa in scena pop (il recentissimo Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright ne è un bellissimo esempio), adottando dunque tutti i cliché che irrimediabilmente scatta una tempesta ormonale nella generazione post-mtv, probabilmente i maggiori fruitori delle attuali sale cinematografiche. Non saremo chiaramente ai livelli di Dreyer, ma perlomeno ci saremo evitati di romperci i coglioni. In questo caso, chiameremo la passione di Dreyer come Passione Umanizzata, mentre quella di Joe Wright come Passione Post-Romantica, di sicuro due forme di fare Cinema completamente diverse (così come lo è tutto il fare Classico con il fare post-moderno), ma che hanno la possibilità di addentrarsi nell’opera cinematografica adeguata alla propria esigenza e al proprio pubblico: da una parte c’è Arte pulsante, dall’altra Intrattenimento pulsante. A volte queste due facce possono addirittura reiterarsi, in un perfetto connubio di passato e presente, tra l’elite e la massa, ma questo è possibile solo sotto una degna appropriazione di un autore capace di confinarsi oltre la Storia del Cinema pur facendo parte di essa.

Eppure Kevin Reynolds, regista di questa trasposizione, non solo rifiuta di seguire uno dei due modelli esposti sopra, ma proprio rifiuta di seguire ogni qualsiasi tipo di strada che abbia una propria coerenza. In primis abolisce ogni forma di approcciarsi passionale al soggetto, quasi come se facesse di tutto per uccidere ogni enfasi, e come direbbe qualcuno: se questo film è passionale, fa di tutto per non sembrarlo affatto. Disumanizza i due protagonisti riducendo i primi piani, il linguaggio mimico, e quindi, elimina automaticamente una possibile umanizzazione che induca i due innamorati a riflettersi nella vita quotidiana, nel realmente tangibile. Reynolds sembra invece preferire la concentrazione per le ambientazioni, optando per tantissimi campi lunghi che descrivano perfettamente la natura selvaggia nella quale il film s’ambienta. Ambienti bellissimi, naturalisticamente da togliere il fiato, ma se è per questo lo sono anche le cartoline che vendono nelle edicole. Dietro questa scelta potrebbe esserci la voglia di risaltare maggiormente l’epicità dell’oggetto filmico, non a caso a produrre questa ciofeca figura Ridley Scott, appena reduce da quelle Crociate anestetizzate nella loro kolossalità. Dunque, il risultato è niente amore/passione e molta epica, quella sfumatamente dark già visto non tanto tempo fa (al meglio) in King Arthur di Fuqua. Che Reynolds abbia scelto la via più facile della Passione Post-Romantica? Nemmeno, perché nonostante le facce da teenage-movie dei due protagonisti, non è infatti lontanamente possibile parlare di vera estetica pop per quest’opera, in quanto manca anche di artificiosità nell’artificiale, di quei contorni extra-cinematografici (videoclippari?) per condire l’operato di quella vibrazione simil-giovanile, simil-immatura: Tristano e Isotta non ha nemmeno la forza enfatica per essere un semplice e poppeggiante film per la generazione di 3 metri sopra il cielo (che a confronto di questo film, sarebbe Via col Vento). Che cosa rimane, dunque? Forse il vuoto (non nel senso Kubrickiano di “svuotamento”, attenzione), la noia, la perplessità all’inverso in questa vera morte del Cinema (e di tutto ciò a cui è legato).

Essendoci ormai direzionati in una versante completamente opposta alla natura e alle intenzioni originarie, un prossimo consiglio a Reynolds potrebbe essere quello di scegliersi un coreografo migliore la prossima volta. I combattimenti di massa di Tristano e Isotta arrivano a ricordare il peggior Tsui Hark, demoliti internamente da un virus incapace di coglierne ogni plasticità o dinamismo. E Reynolds dovrebbe capire che anche un regista incapace come lui, quelli che mettono le macchine da presa a caso dove capita, possono essere nettamente avvantaggiati da un coreografo coi controcazzi, esserne totalmente modellati con l’aiuto di una troupe di montatori che poi cancellerà le imperfezioni e le lacune registiche, insomma parargli il culo.
Però tutto è fatto così male in Tristano e Isotta, tutti sembrano invogliati nel fare bene il loro lavoro, e si fatica seriamente a trovare anche un solo briciolo di nota positiva, considerando che persino il dialoghista sembra uscito dalla peggior puntata di Cento Vetrine. E chiediamo venia se stavolta cerchiamo di strappare il lavoro a Reynolds. Non è presunzione, ma solo Amore, seppur indiretto.

(15/04/06)

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