Sguardi / Roma 2013

Festival del Film di Roma 2013 / Maverick Director Award – TSUI HARK: 30 anni e 3 rivoluzioni – 1° parte

Originariamente pubblicato il 25 marzo 2010

tsui hark sguardi (3)

Osservando distrattamente il trailer del colossal Avatar la prima cosa che chi scrive ha notato è stata la vicinanza tra alcune “visioni” di Cameron relative alla conformazione geografica del pianeta dei Na’Vi e l’universo narrato nel film di Tsui HarkLegend of Zu (2001). Per quanto questo elemento possa avere poco valore, si tratta solo di una minuscola ma ennesima conferma di come il cinema dell’autore hongkonghese, riesca ancora, nonostante un ultimo decennio forse meno incisivo del precedente, a influenzare e plasmare il cinema mondiale a sua immagine e somiglianza.
D’altronde tra regie e produzioni, è innegabile e evidente come l’idea di cinema di Tsui Hark, la sua tecnica e i suoi universi filmici abbiano influenzato in toto il cinema mondiale degli ultimi 30 anni, riscrivendo idealmente una sorta di manuale della (nuova) tecnica cinematografica.
Si dice che la differenza tra un bravo regista e un genio stia nel fatto che il secondo qualsiasi cosa faccia la farà sempre con una illuminante visione personale capace di plasmare e cambiare per sempre il contesto. E su testimonianza dello stesso regista (non riferita a sé stesso, ça va sans dire) ci sono film e autori di cui non si possono fare remake e che (ri)scrivono la storia. Ci sono moltissimi grandi registi ma pochi maestri; TruffautKurosawa,FelliniHitchcockTsui Hark ormai è uno di questi.
Se un tempo era chiamato -anche impropriamente, forse- lo Spielberg d’oriente, è ormai storia il fatto che i due siano le personalità che più di altri hanno plasmato e codificato il cinema degli ultimi trenta anni. 
Passato attraverso tre “ere”, con un’innata capacità rivoluzionaria nella foga di costruire ex novo stili e visioni è stato capace di superare una new wave, rivoluzionare tutti i generi principali dell’ex colonia modellando il cinema locale, influenzando quello asiatico fino a plasmare il concetto stesso di azione di quello mondiale. Se non è riuscito ad andare oltre è solo per una questione prettamente culturale (occidentale) che ancora fatica ad accettare determinati stimoli e concetti tipicamente e candidamente locali; Tsui a tal proposito è stato maestro anche di comicità e melodramma.
Tre principalmente le rivoluzioni affrontate e apportate, ognuna delle quali ha ampliato il contesto di influenza cinematografica. Dopo gli studi e una breve gavetta negli States, prima, e nella Tv hongkonghese poi, Tsui è uno dei macigni della new wave cinematografica locale con una tripletta di rara ferocia e inventiva, rinominata in Francia “La Trilogie du Chaos” (TheButterfly Murders (1979), We’re Going to Eat You (1980) e Dangerous Encounter – 1st Kind (1980)).
New wave che di suo non porterà a nulla ma mostrerà la possibilità di un cinema locale nuovo che si vada a sostituire a quello ormai in stallo e incapace di evolversi, soprattutto stilisticamente, e di rimodernarsi.
Dopo questi tre flop e il ritiro censorio del terzo film citato, Tsui si ricicla nella commedia di grana grossa prodotta dalla casa di produzione più ricca e modaiola del periodo, la Cinema CityAll the Wrong Clues (1981) e Aces Go Places – Our Man from Bond Street (1984) tra i quali riesce ad infilare il delizioso Shanghai Blues (1984).
Con Zu: The Warriors from the Magic Mountain (1983) (re)inventa in toto l’utilizzo dell’effetto speciale (prevalentemente ottico) in patria e realizza alcune delle più complesse sequenze di wirework (sistema di imbracatura tramite cavi atto a permettere i gesti mirabolanti degli spadaccini) girate fino ad allora. Il film, di nuovo, subirà un trattamento pessimo di rimanipolazione in fase di distribuzione statunitense.
Riflettendo sui problemi presentatisi durante la produzione di quest’ultimo e considerando la necessità di gestire una nuova visione dell’effetto speciale e delle dinamiche dell’azione, durante la preparazione del suo classico Peking Opera Blues (1986), fonda con sua moglie, la produttrice Nansun Shi, la propria casa di produzione, la Film Workshop a cui affianca un’officina di effetti speciali, la Cinefex. Infine l’incontro con il regista e –soprattutto- coreografo Ching Siu-tung è l’ultimo tassello per codificare ciò che aveva già in mente e inaugurare la sua seconda rivoluzione di cui ancora oggi se ne avvertono gli effetti vistosi sulla storia del cinema. MatrixKill BillX-Men,Romeo deve MorireBlade, sono i frutti hollywoodiani, tardivi ma diretti, di questo periodo, di questo metodo e di questa esperienza cinematografica. Nessun genere locale viene risparmiato.
Tsui produce un John Woo in stallo e ormai arido di stimoli permettendogli di ricreare i propri desideri cinefili; con la trilogia di A Better Tomorrow e The Killer è l’action balistico a venire reinventato dalle proprie fondamenta. A Ching Siu-tung tocca l’onore di ricodificare e creare una visione moderna del wuxiapian con la trilogia di Swordsman prima e il fantasy dopo con quella di A Chinese Ghost Story. Personalmente Tsui ricrea ex novo il kung fu movie con i 5 film +1 della saga dell’eroe realmente esistito Wong Fei-hung, intitolata Once upon a Time in China. E’ qui che salda l’alchimia con un altro coreografo, autore della seconda e maggiore (parallelamente a Ching Siu-tung) scuola di pensiero coreografica, Yuen Woo-ping (in futuro autore degli scontri di Matrix e di Kill Bill, solo per citarne i frutti più noti). 
L’idea che sottende le rivoluzioni è la stessa, il metodo anche, ma di volta in volta applicato al rispettivo genere; utilizzo eccessivo e virtuosistico del wirework, ellissi, montaggio frenetico e costruttivista, dinamiche dell’azione ricostruite di senso mediante dettagli (poco) comunicativi, uso esasperato delle luci, utilizzo di artifici semplici e arcaici a scopo creativo (luci, fumo, grandangolo, filtri cromatici…), step framing, ralenti freschi e anomali…
Il metodo, in una città frenetica e onnivora come era la Hong Kong di quegli anni, si diffonde viralmente e diviene stile comune, applicato ad ogni genere, dalla commedia (si pensi a Wong Jing) all’erotico (i vari Sex & Zen e/o A Chinese Torture Chamber Story). Tutti i generi godono di una rivitalizzazione estrema che va dai plagi dei classici, ai figli (il)legittimi, fino a titoli paralleli a fronte di una sovrapproduzione di film, anche all’interno della stessa Film Workshop (A Terracotta WarriorDragon InnThe Magic CraneThe Big HeatGunmen…). 
In questi anni Tsui produce il cinema di nomi centrali dell’ex colonia, da John Woo a Kirk Wong, da Johnnie To a Ching Siu-tung da Yuen Woo-ping, a Ringo LamDaniel Lee e Herman Yau fino ai veterani Chor Yuen e King Hu.
Anche il suo lavoro con gli attori innalza un nuovo star system locale lanciando o confermando un nuovo esercito di volti che diverranno noti al mondo intero, da Chow Yun-fat a Jet Li, da Anita Mui a Leslie Cheung.
Nel mezzo di questi film di successo il regista riesce a girare titoli più anomali, personali e meno codificati che spesso si rivelano come alcune delle sue opere più riuscite, come l’accecante Green Snake, fantasy basato su una leggenda locale classica dagli echi visivi di King Hu, fino al capolavoro del melodramma The Lovers.

FINE PRIMA PARTE (CONTINUA)

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