TUTTA LA VITA DAVANTI
REGIA: Paolo Virzì
SCENEGGIATURA: Paolo Virzì, Francesco Bruni
CAST: Isabella Ragonese, Sabrina ferilli,
Massimo Ghini
ANNO: 2008
A cura di Alessandro Tavola
GRANDE FESTA AL COMA D'ITALIA
Sono tutte nella prima sequenza l’idea, la forza, la
demistificazione, la vena di follia (pre)puberale di Tutta
la vita davanti, stenografate in un balletto/cantato di gente per la strada
che s’incrementa una fermata del bus dopo l’altra, lungo il
percorso che porta la (co)protagonista Marta al
lavoro, seguendo i ritmi di Barbara Ann dei Beach Boys, che
avrebbe potuto essere forse un qualsiasi altro noto brano di surf music, uno
dei tanti motivetti (da) vitali(s) o del, meglio, fantasma della vitalità,
quello delle coreografie da spot televisivo, da Actimel
Danone: è fantasia veder tutte quelle persone danzare
secondo un giovialissimo rito mattutino, è visione di
Marta che tutto inizi (e vada) per il meglio; e subito la voce narrante di Laura
Morante ce lo dice, frantumando quello ch’altrimenti sarebbe stato
puro naif, facendone invece frammenti di positività poi quasi virali verso
qualsiasi cosa tocchino. Pendolari, spazzini, la stessa Marta
che si reca al suo lavoro part-time in un call
center: quotidiani popolari che in realtà chissà quanto son
lontani dalla contentezza che viene proclamata e subito ridotta al suo (poter)
essere (solo) fanciulla immaginazione di una neolaureata che s’affaccia
al lavoro (precario), o anzi semplicemente una neolaureata, o ancor più, e cardinalmente, una
neo-, una nuova, una vergine, quando ciò significa purezza, belle speranze e
voglia d’agire; ossia il profilo tipico dei protagonisti di Virzì, sempre novelli Alice in Wonderland che
navigano lontani dal pessimismo e dalla mortalità, iperattivi
nel modo in cui vengono rappresentati, stracarichi nel numero di eventi,
incontenibili per le tante emozioni in cui passano.
Lontano da qualsiasi boria o ricerca impressionistica che
tanto sembra essere obbligata per venir considerati
qui autori, con Tutta la vita davanti Paolo Virzì
si riconferma tale e unico, alla guardia del futuro e non delle angosce del
passato. Gran narratore di solitudini senza che esse debbano
esser presenti come macigni granitici in ogni istante, ma che anzi restino
abbozzate, contornate, e subito rovinate, riempite di getti di colore fin fuori
dai margini, matite su pennarelli, fabula contro recitazione, intreccio contro
battuta; in ogni momento con Tutta la vita davanti si è davanti ad
energia pura che nulla tralascia e noncurante getta in aria, rincorre il nuovo,
ride della sopraffazione, rende elettriche le recitazioni e i temi trattati;
perché quello di Virzì è un Cinema che
veracemente e formalmente Esalta e sottolinea come con tanti piccoli sbuffi di
vento acuto ogni cosa che tocca, per investire lo spettatore, adularlo,
divertirlo: emozionarlo. Ogni scena è una caricatura fatta di finta ingenuità e
di riso reale; è piena dell’animo di ciò di cui
parla e al contempo noncurante dell’argomento. In ogni inquadratura si
susseguono schiaffi ((a)morali) di macchina da presa che, come usuale, innalza
e protrae, esemplifica le interpretazioni: ancora una volta Virzì
emana una certa irraggiungibilità nello scrivere o, anzi, nel dirigere i propri
scritti, nel mettere in bocca le parole ai personaggi, le espressioni sui loro
volti, i tempi alle loro reazioni, carne fresca contro immagini di carta (che,
pur belle, troppo spesso travalicano in quantità sugli schermi per altri film)
anche in “piccole” cose come il product placement, ch’è qui elegante
e defilato, tra un cameo postumo della pornodiva Lollipop e un goffo omaggio all’acqua potabile
di Roma.
Se Muccino dirige collettività di solitudini, Virzì crea solitudini collettive, momenti di comunione in un gran contenitore di gerundi in grado di parlare dell’adesso più di qualsiasi palinsesto televisivo giovanilistico riesca a fare: lavoro e televisione entrambi spazzatura, malattie, sogni, istinti, sindacati, studi e, tra i pastiche fisici e sociali, più d’ogni cosa la vita nel suo complesso, cioè le vite di ogni singolo personaggio - anche del più defilato come quello della moglie di Mastandrea, incinta, licenziata e cornuta - dipinte brillanti come una stella cadente, gloriose e poi buie, ma essenzialmente state (vissute) ed esaltate. Dalla struttura del call center, nel quale ad ogni ragazza corrisponde un numero, fino al mosaico complessivo dell'opera, ogni sequenza del film è un corrispondere a uno status che non vanifica il sociale ma lo pianifica in spettacolare, dove l’esser soli è molteplice e tinto di follia come in un gran ballo di animi magari morti ma dallo sguardo ancora ragazzino, dove si sente non una macchina da presa, ma tutta una troupe e tutta una platea che non sfugge da un’empatia degustativa global(izzant)e, anche se magari il film ci si ritrova a vederlo in una sala quasi deserta come è successo a me.
My name is Tanino, Caterina va in città: valzer pop a tu per tu e a noi per noi - Tutta la vita davanti: letteralmente il proprio titolo, una gran fiera, un ballo di corte, un trenino felliniano, una festa delle medie senza età, l’attesa di un sempre nuovo primo bacio, che ora è una laurea, ora un applauso sul posto di lavoro o il sogno di maternità, un tradimento qualunquista o sesso vendicativo in un cantiere in pieno giorno; sempre e comunque con la convinzione che da un momento all’altro tutti cominceranno a ballare, tutti, fino alla fine, con la vita davanti e in fantasmi in fondo a un cesso riguardo cui Virzì, sì, Maestro del nostro Cinema, non si cura affatto di dirci nulla.
(P.S: Germano
è il nostro (nuovo) Depp.)
(08/04/08)