U-CARMEN
REGIA: Mark Dornford-May
CAST: Pauline Malefane, Andile Tshoni, Lungelwa Blou
SCENEGGIATURA: Mark Dornford-May,
Andiswa Kedama, Pauline Malefane
ANNO: 2005
A cura di Alessandro Tavola
L’IGNORANZA UCCIDE (IL CINEMA)
Annata evidententemente magra (o rimbambita) al
festival di Berlino se ad aggiudicarsi l’orsetto
è stata una pellicola (anche nel senso più materiale del termine) così
miserrima, vincolata da una eguale distribuzione (e meno male).
Trasposizione della celebre lirica Carmen
di Bizet,
capolavoro della sua arte o robaccia che la si consideri, in ogni caso qui
dovrebbe incarnarsi in cinema. Possibilmente (almeno) buono. Dovrebbe.
E invece, il dramma, al posto di risorgere in movimenti colori e voci, si
ritrova a usare solamente in mera maniera il mezzo cinematografico. Traduzione
in lingua xhosa dei testi, fedeltà alle musiche
originali. Tutto il resto è sfruttamento malandato e canonico di ciò che
concerne un film.
Il risultato è l’accavallarsi, minuto dopo minuto, di accostamenti
sconnessi tra gli elementi lirici e gli elementi visivi, dando assoluta
rilevanza ai primi, in un meccanismo totalmente non funzionante dove le
immagini vengono soggiogate, negativamente abusate, semplicemente buttate lì in
una cozzaglia di inquadrature con il compito di
sorreggere tutto il flusso musicale imponente e torrenziale, zoppicando nella
fotografia, nel montaggio, negli spazi.
Attori di voce ma non di espressione. Noia visiva.
Inutile (spreco di tempo).
Nessun elemento presente catalogabile come Cinematografico, un prodotto che è killer concettuale dell’essere Cinema.
Ma anche dell’essere un Clip Musicale.
E vengono in mente i magici deliri cromatico-musicali
di Romeo + Giulietta e Moulin Rouge, di Chicago, rispetto ai quali qui siamo più
che agli antipodi, neanche potendo parlare di “regia sobria”. E nei paragoni riaffiora quel Fantasma dell’opera di Joel Schumacher, che al confronto diventerebbe “un buon
film”.
Sminuimento del cinema. Quasi beffa, se non suonasse
così inconsapevole: un regista che arriva dal teatro e che a
quanto pare non ha ancora un’idea chiara di cosa stesse facendo.
Inguardabile fin dall’inizio e di conseguenza inascoltabile subito dopo,
susseguirsi borioso e quasi alienante, emblematico del
termine “distrarsi”, unica via di salvezza. E,
tornando, ricadere nella rete, la rete del lento cantare paffuto, dei cenni
dell’interessante vicenda, delle inquadrature funzionali sfruttate,
dell’annichilimento di chi guarda e gli piace guardare. Perché,
volendo, l’enfasi ci sarebbe, facendo finta di
ascoltare un cd o di essere a teatro, ma era così anche nel 1875.
(25/01/06)