L’ULTIMO RE DI SCOZIA

REGIA: Kevin Macdonald
SCENEGGIATURA: Peter Morgan, Jeremy Brock
CAST: Forest Whitaker, James McAvoy, Gillian Anderson
ANNO: 2006


A cura di Luca Lombardini

CUORE DI TENEBRA

Qual’è la maniera più appropriata e meno scontata per immortalare su pellicola la figura di uno spietato dittatore? Meglio affidarsi all’ironia triste e malinconica di classici come Chaplin o Lubitsch, oppure optare per una linea più intransigente e diretta, tesa a far trasparire il giudizio morale dell’autore? Domande pericolose e forse anche un po’ inutili, perché quando ci si misura con determinate vicende storiche basta e avanza far parlare il personaggio che le popola, i suoi deliri, le sue atrocità, le leggende che su di esso aleggiano. Uno dei tanti motivi che rendono L’ultimo re di Scozia un film riuscito risiede proprio nella scelta di Kevin Macdonald, il quale opta per un taglio di racconto ibrido, a metà tra ricostruzione reale ed esposizione romanzata dei fatti, mediazione ideale tra le esigenze di tratteggio dell’uomo Idi Amin Dada e il bisogno di mostrare a chi guarda un personale commento etico che esuli dal solo ritratto umano. Il risultato è un film coinvolgente, al bivio tra mondi distanti, vuoi per le culture differenti che vi si incontrano, vuoi per il fatto che uno dei protagonisti è realmente esistito mentre l’altro risulta essere immaginario, ma anche perché la bilancia stilistica utilizzata dall’autore riesce a collocarsi senza pecca alcuna al confine tra documentario e fiction cinematografica, limbo dove il materiale autentico e le testimonianze raccolte in Uganda ben si amalgamano con la sapiente penna di Peter Morgan (già sceneggiatore di The Queen) che, assieme al regista, sfrutta al meglio l’omonima opera letteraria firmata da Gilles Foden, trasportando sul grande schermo la figura romanzesca del giovane medico scozzese interpretato da James McAvoy, soluzione narrativa che permette a Macdonald di individuare uno specchio in grado di riflettere le innumerevoli facce che caratterizza(ro)no il tiranno ugandese; una chiave di violino capace di troncare in due la struttura dell’opera che, ad una prima parte incentrata sulla fascinazione del potere subita dall’ingenuo dottore giunto dalla vecchia Europa, risponde con una seconda in grado di condurre lo spettatore tra l’orrore e la barbarie della storia recente. Così facendo, l’autore dimostra di sapere quanto l’immagine, il carisma e la menzogna, siano armi indispensabili affinché un colpo di stato possa riuscire con successo, elementi che da sempre sono prima radice e poi sostentamento di ogni governo monarchico, componenti materiali di ogni sogno di onnipotenza senza i quali, nessun ex soldato britannico con un debole per il pugilato riuscirebbe a rendere inattaccabile il suo trono di sangue per quasi dieci anni. Forte dell’ambientazione africana magistralmente immortalata dalle calde e sature tonalità che “gialleggiano” nella fotografia di Anthony Don Mantle, sostenuto da una perizia tecnica incentrata su panoramiche a schiaffo e zoomate veloci (molto new hollywood), L’ultimo re di Scozia lascia ben presto briglia sciolta a Forest Whitaker, performer da Oscar capace di indossare con carismatica brutalità i panni di Amin: la sua è una prova attoriale a cinque stelle, fatta di mole, corpulenza e profondo scavo psicologico nell’anima del personaggio, grazie alla quale l’ex Ghost Dog si carica definitivamente la pellicola sulle spalle, cannibalizzando la scena con la sua palpebra sinistra assonnata e con quello sguardo da pugile suonato che gli conferiscono un’impressionante somiglianza con l’originale, permettendo al film di compiere il definitivo salto di qualità. La delega che Macdonald concede al suo protagonista rischia di spezzare il gioco di equilibri e compromessi storico narrativi che reggono l’intera struttura portante del film, ogni tanto fa capolino qualche lacuna di scrittura (a tratti il personaggio di Nicholas Garrighan rasenta una schematicità che sa di programmato), ma la continuità della narrazione non né risente più di tanto, anche perché alla fine, quello che sembra essere il fine ultimo dell’operazione (mostrare l’occidente come una potenza coloniale per nulla disposta a cedere le sue conquiste territoriali se non nel peggiore dei modi), viene raggiunto con successo. L’ultimo re di Scozia è un ottimo esempio di cinema impegnato e coraggioso, che non si vergogna di coniugare informazione e intrattenimento, con buona pace di chi, sostiene che non sia lecito trarre “spettacolo” da fatti e tragedie reali.

 

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(22/02/07)

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