UN’ ALTRA GIOVINEZZA di Francis Ford Coppola
REGIA: Francis Ford Coppola
SCENEGGIATURA: Francis Ford Coppola
CAST: Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz
ANNO: 2007
ROMA 2007: (IN)ATTESI RITORNI
Per cercare di spiegare cosa ha rappresentato veramente Youth without Youth per la seconda edizione de La festa del cinema di Roma, bisogna necessariamente partire dalla fine. Da quell’imbarazzante, eterna e snervante attesa durata un minuto circa, che ha separato l’ultimo dei titoli di coda dall’inizio del consueto applauso di circostanza, spentosi timidamente e quasi subito, così come era iniziato. Un’inpronosticabile e al tempo stesso giustificata freddezza, emblematico termometro di gradimento che riprova, ancora una volta, come il confine che separa il coraggio dalla superbia registica sia sottile quanto un ciuffo d’erba reso fragile dalla rugiada del mattino. Un passo troppo azzardato, pur sincero, personale e ricco delle migliori intenzioni, e si finisce per caricare di eccessive responsabilità un’opera già di per sé complessa e labirintica fin dalle sue origini letterarie, costringendola a cedere sotto il peso di un fardello capace di evidenziare la sua natura di gigante con i piedi d’argilla. L’ultima, attesa, e in gran parte deludente fatica di Francis Ford Coppola, è tutto questo e, purtroppo, anche qualche cosa di meno. Scegliendo di confrontarsi con il testo di Mircea Eliade, l’autore commette l’inaspettato errore di fare il passo più lungo della gamba, perdendo ai punti l’impari confronto contematiche eterne, inciampando nell’azzardato tentativo filosofico di (non) dare risposte a domande “che forse era meglio non farsi mai”, quesiti esistenziali affrontati in passato, e con fortune di certo non alterne, da altri mostri sacri della settima arte come Kubrick, Ozu e Bresson. Un’altra giovinezza è un film presuntuoso tanto quanto lo scopo di vita/studio del protagonista Dominic Matei: la ricerca ossessionata del valico in grado di condurre alle origini delprotolinguaggio, oltre la storia, al di là delle lingue moderne e antiche, con l’obiettivo di carpire l’essenza della coscienza umana. Per fare ciò, Coppola si affida all’unica arma a sua disposizione: il lessico cinematografico, lavorando sullo straniamento simbolico e visivo dovuto al faccia a faccia tra l’individuo ed enigmi esistenziali, satura l’opera di incastri come quelli tra realtà e sogno, tempo e spazio, psiche individuale e doppio, affascinanti si ma geometricamente mai perfetti. Ne viene fuori una Babele di idiomi arcaici e sogni repressi, visionaria e caleidoscopica, quasi soffocata dalla struttura circolare alla quale è costretta. Tanti, probabilmente troppi, film nel film, percorsi metacinematografici saldati tra loro senza soluzione di continuità dall’immagine di una vecchiaia imprigionata in un corpo giovane, esistenza obbligata ad un eternità di solitudine che già fu presente sotto forma di destino insopportabile in Dracula e prima ancora nel filosofeggiare senza tempo del Kurtz di Apocalypse Now. Nei suoi momenti migliori, Youth without Youth sembra assomigliare da vicino ad un episodio di Ai confini della realtà, durante i quali fantastico e reale si fondono in un’unica dimensione parallela; durante le sue fasi di stanca, invece, casca in imbarazzanti quanto involontari parallelismi in stile L’Esorcista (le ripetute sequenze di possessione femminile in quel di Malta). E se l’autore padroneggia l’apparato visivo con l’abituale maestria, regalando, con la pesantezza registica che gli compete, solidità, credibilità e fascino (l’incipit perso tra gli ingranaggi degli orologi) ad una vicenda dai contorni fin troppo labili, il lavoro di sceneggiatura non si dimostra altrettanto efficace, abbandonando quasi subito Tim Roth e Alexandra Maria Lara (comunque abili a tener testa ai loro personaggi) ad un gioco al massacro fatto di doppi e tripli, durante il quale gli anelli di quella catena chiamata intreccio non vanno mai a sovrapporsi come dovrebbero, con il risultato che l’unico passaggio in grado di tenere incollati allo schermo risulta essere quello pseudospionistico ambientato durante la seconda guerra mondiale. Guarda caso il più lineare e quindi comprensibile. Youth without Youth elude qual si vogliadefinizione critica, irrita e lascia basiti per il suo essere tutto e niente, parto decennale subentrato ad un altro pluri annunciato progetto coppoliano (il fantascientifico Megalopolis) che del suo autore possiede solo qualche ossessione di ritorno. Forse specchio rivelatore della fase artistica di un regista che ha ormai perso lo smalto e il guizzo che lo resero celebre in gioventù (e a questo punto si fantastichi pure sulla valenza ambigua del titolo originale), oppure un capolavoro in divenire che, per manifestarsi tale, necessiterebbe di un’altra visione. Il problema è che manca la voglia di provare a rivederlo, cosa mai successa (almeno per il qui presente) con un film di Coppola. Sensazione, questa, che la dice lunga su quale delle due interpretazioni si avvicini di più alla verità.