UNA RAGAZZA A LAS VEGAS di Stephen Frears
REGIA: Stephen Frears
SCENEGGIATURA: Beth Raymer , D.V. DeVincentis
CAST: Rebecca Hall, Bruce Willis, Catherine Zeta Jones, Vince Vaughn, Joshua Jackson
NAZIONALITÀ: USA, Inghilterra
ANNO: 2012
USCITA: 13 giugno 2013
TITOLO ORIGINALE: Lay the Favorite
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Stephen Frears è cineasta altalenante più che eclettico, capace di efficaci raffigurazioni dell’intimo e delle pulsioni estroflesse (per dirne due, quelle del cannibalismo aristocratico nelle Relazioni pericolose, e la foschia dei bassifondi di Piccoli affari sporchi in cui persino la Tatou riesce a recitare, complice lo stato pre-arrugginimento smorfiettoso-diabetico causa Amélie), ma anche di divagazioni comedy (come in questo caso) comunque spesso valide, come già comprovato dall’acuto Alta fedeltà (compendio di amori e dolori condensati nelle playlist emotive del malincuorico John Cusack) e da Tamara Drewe, nel quale s’intravedeva il cinismo proiettato sui letterati velleitari, sulla crudeltà di provincia, sulla plastica della pruderie.
Altrove e di recente però scivolicchia: di Lady Henderson se non fosse per la granitica Judi Dench non ne ricorderemmo neppure la sinossi, e la freddezza inconsistente di personaggi e sentimenti rendeva il dramma romance Chéri un anestetico. Ma è con Lay the favorite (italicamente, ahinoi, Una ragazza a Las Vegas) che il fascino dell’ambivalenza produttiva getta la spugna.
Beth alias Rebecca Hall (interprete sciapita e raramente interessante, qui tutta mossettine e faccette in deriva d’isterismo) è una sgallettante mansitter (come le piacerebbe definirsi) che, stizzita da un lavoretto che garantisce sicurezza solo part time, si reinventa ragazza a Las Vegas e diventa la gallinella d’oro dello scommettitore d’azzardo Dink (Bruce Willis, ormai partito per la tangente del gigionismo, non aveva un nome così idiota dal Butch tarantiniano). Per ripicca verso costui la fanciulla sterza verso il lato oscuro – pardon illegale – delle azioni (nella forma dell’allibratore Vince Vaughn con la faccia di Enrico Brignano), salvo redimersi per amor di lieto fine e del bollito Joshua Jackson. Completa la compagine attoriale una Catherine Zeta Jones ormai indicatrice di instabilità cinematografica (vedere Side Effects o Quello che so sull’amore per credere).
Una ragazza a Las Vegas ruota intorno all’ossessione tutta americana di aziendalizzare monopolizzare mercenarizzare, e così un giro di scommesse d’azzardo che comprende qualsiasivoglia tipologia viene istituzionalizzato: le tabelle delle partite (spiegate malamente) sono uno scarabocchiante delirio virtuale di numeri che non significano nulla ma che per il cervellino matematico di Beth sono un ideale campo d’azione. Frears perdura nel tratteggio di umanità sbrindellate dalle aspirazioni e corrotte dalle aspettative, tra giovincelle di belle e invasate speranze e bruti mossi dal business e commossi dal proprio criceto, e persevera però nell’anonimità: l’esagitata progressione narrativa si inceppa in un’evoluzione tendenziosa, annaspa in un vuoto privo del benché minimo interesse per/verso spettatori e personaggi.
Per cui seguiamo il consiglio del titolo e lasciamo perdere l’aura ‘autorale’ di Frears che dovrebbe favorirlo, lasciamo perdere il cast variegato e la vicenda frenetica, qui è tutto buttato alle ortiche senza che il pilota automatico venga lasciato impazzire seguendo la frenesia della vicenda, senza limitarsi a punteggiarne l’escalation. Filmetto un po’ fasullo, talora sgraziato, piuttosto tedioso, vagamente inutile: risparmiarcelo sarebbe stato un atto di cortese decenza.