VENEZIA 2010 – Giorno 10: undici pezzi di cranio
In piena fase di depressurizzazione, atterraggio: file per i biglietti accorciate (più simili a quelle dei cinemini del centro in giorni feriali), nessun sovraffollamento frenetico in sala stampa, code meno lunghe tanto da aver la sensazione di essere nel posto sbagliato, nei bagni non sembra più che sia esplosa una bottiglia d’olio di semi e non c’è più quell’odore di sottoportico della stazione, i security ammansiti, le hostess che non sgranano più gli occhi spaventate; le sale, semideserte, di gente più impegnata a guardarsi intorno che verso lo schermo.
Ma la cosa peggiore è l’attesa, brivido manifestato, nell’attesa dei vincitori, quest’anno, ripetendo, che potrebbe essere della svolta, mentre noi-tutta-redazione siamo in letterale febbre (da fieno), per i titoli in concorso (su queste pagine e in altri luoghi) acclamati (dopo un anno, il 2009, in cui vinse un nessuno tra i nessuno), indistintamente tifando noi-tutti (in ordine sparso e per le più diverse motivazioni (in parte) disseminate qui in questi giorni):
The ditch, Black swan, Silent souls, Post mortem, La solitudine dei numeri primi, Somewhere, Balada triste de trompeta, 13 assassins, Meek’s cutoff, Detective Dee, Essential killing.
Undici film, che, sempre in clima settembrino, potrebbero essere formazione ideale, leader: di undici tipi di Cinema differenti, concezioni lontan(issim)e tra di loro anzi spesso opposte, indispensabili per avere una visione profonda (senza 3D) di potenze e potenziali. Forse, negli anni duemila (in cui tutto è cambiato (e nove anni fa cadevano le torri)) mai prima la Mostra era stata così complet(iv)a.
L’unico timore è che questa rimanga l’issusione trapassata dallo schermo, e che finisca col vincere qualcosa senza alcun merito, tornando alla realtà campanilistica e politicizzata, anche perchè – e questa è autentica paura – c’è Ascanio Celestini ancora in giro per l’Excelsior.
E, presi da queste paranoie, divisi tra aerofagia e sigarette due-a-due, silenziosi verso il climax, abbiamo visto poco (tanto da avere il tempo di reinserire immaginie e paragrafi), ma nous ne regrette rien.
DREI di TOM TYKWER (IN CONCORSO)
Odioso modo di dire: “il ragazzo potrebbe ma non si applica”, soprattutto se si parla di un uomo di quarantacinque anni. Ma Tykwer al cento-per-cento lo si è visto solamente in Paris je t’aime (episodio Faubourg Saint-Denis), per una manciata di minuti, che dicevano (e forse erano) tutto il suo Cinema.
Drei è siffatto, ma a singhiozzi: commedia funzionante di un menage-a-trois biunivoco (Lei, Lui e L’altro che va con entrambi) in paratelevisivo (pessima parola) appropi(nqu)arsi ed impegnarsi, in leggerezza e brillantezza che ricordano Splendidi amori di Gregg Araki in sfumatura teutonica (quindi uggiosa). Evidentemente il cinema popolare tedesco concede determinate libertà (mentre certi limiti sembrano comuni a livello perlomeno europeo): l’asportazione chirurgica di un testicolo, un’eiaculazione sullo sterno (da Lui a L’altro), birra in ogni frangente della giornata. Ma, al di là di queste considerazioni provinciali, c’è poco da dire su Drei, se non che Tykwer deve ancora esplodere del tutto, e che, in concorso, non ci fa nulla. Ma non è da solo.
(A.T)
BARNEY’S VERSION di RICHARD J. LEWIS (IN CONCORSO)
Usiamo l’immaginazione cortesemente. C’è un produttore che ha acquistato i diritti de La Versione di Barney, capolavoro dell’ebreo canadese Mordecai Richter(scomparso nel 2001): il libro è puro oro colato, la biografia in prima persona di un uomo sconclusionato, passionale, talentuoso, incazzoso, alcolizzato, scontento, cinico e/ma soprattutto profondamente e orgogliosamente misantropo, in lotta continua col genere umano. Fidatevi se non avete letto il libro, non serve Walter Hill o Sam Raimi per tirare fuori una sceneggiatura anche solo passabile da questo materiale. Basta in effetti un personaggio che sappia mettere insieme verbo predicato e oggetto. Il produttore, prese tre scimmie fumatrici a compilare l’inutile sceneggiatura (buona solo per fare un piano di produzione), tira fuori il libretto degli assegni, quello delle cambiali e raduna una manciata di attori da richiamo meglio se così suddivisi: l’attore con un’aurea di bravura guadagnata sul campo dopo anni di gavetta (Paul Giamatti); il vecchio lupo di mare per fargli interpretare la macchietta simpatica, meglio se ormai fa solo questi ruoli (Dustin Hoffman); la gran patata che però alla fin fine non si può propriamente dire che sia cagna vera maledetta (Rosamund Pike). Il dannato produttore ora dovrà fare veramente i salti mortali per rovinare (definitivamente, ricordate le scimmie in sceneggiatura) il film. Ma, pensandoci un attimo, è molto semplice: basta affidare la regia a un oscuro carneade canadese (no, è vero, per nove anni è stato fra i 38 produttori di CSI) e intimargli di non impegnarsi troppo che tanto ormai il danno è fatto. Il risultato è una puntata dei Cesaroni con qualche parolaccia in più e qualche attore migliore del solito. A confronto de La Versione di Barneyl’adattamento zuccheroso della Disney de La Guida Galattica per Autostoppisti sembra Shining.
(N.C)