Venezia 2017: Nico, 1988 / Brutti e cattivi / Gatta Cenerentola (orizzonti (italiani))
Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli
Brutti e cattivi di Cosimo Gomez
Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone
Se il Concorso deve giocare secondo prestabilite regole, ancora una volta una certa libertà la possiamo trovare in Orizzonti. È infatti qui che, tra i compatrioti, possiamo trovare tre delle prove più interessanti del panorama, ingiustamente destinate a un oblio mediatico o, nel migliore dei casi, a un progressivo decorso tipico degli sleeper. Mentre i media sono tutti per Ammore e malavita, toccherà al brusio lagunare prima e al passaparola poi, dar degno posizionamento nell’immaginario a questi tre film.
Tre pellicole italiane che, se non possiamo dire eccellano all’unisono, rompono una monotonia generale grazie alle loro peculiarità: perle rare, per quanto piccole od opache, da tenere nel cuore.
Opere non del tutto esenti da difetti, anzi nemmeno “belle” (come nel caso di Brutti e cattivi) ma che possono inequivocabilmente essere considerate come piccole, sperdute roccaforti.
Con Gatta Cenerentola ci ritroviamo davanti a sexy fantascienza inusuale, stilisticamente omogenea e, rispetto a certi sguardi, disruptive, firmata da più mani (ci piace l’onestà intellettuale del cinema d’animazione) guidate dall’Alessandro Rak già autore di un altro gioello, L’arte della felicità (Venezia 2013), dove la necessità produttiva dell’occhio all’infazia viene il più possibile messo da parte, in virtù dell’urgenza immaginifica di realizzare prima di tutto immagini animate che raccontino. Il risultato è un cyber-noir che lascia pochi dubbi, per quanto talvolta permeato di titubanza, sapientemente orchestrato e prima di tutto innamorato della sua stessa natura.
Brutti e cattivi, in un’altra epoca, sarebbe stato parte di un filone grottesco-coatto sulla falsariga di Lo chiamavano Jeeg Robot (per quanto, pare, produttivamente nasca prima), ma per adesso rimane un unicum di piacevolissimo cattivo gusto. Non siamo di fronte ad un’opera immacolata, anzi tutto l’opposto: in mano ad un regista meno acerbo di Cosimo Gomez sarebbe potuto essere un portento. Di lui ci rimangono e rimarranno, come prima cosa il suo stesso esistere, seguito dal fatto di essere un precedente non di poco conto per un cinema che ha sempre troppa paura di abbracciare la cattiveria.
Regina di questo trittico è però Susanna Nicchiarelli, che col suo Nico, 1988 ci regala un biopic atipico, misurato, fosco. Seguiamo gli ultimi anni di Nico, alle prese con l’età, la solitudine e una carriera solista, in un dimenticatoio cupo e tutto europeo. Lo stile della Nicchiarelli è altissimo, moderato e deciso. Ama le sue immagini e la sua protagonista, senza dubbio già metabolizzata per poter essere resa con magistrale semplicità, senza che nessun abuso della disperazione (un must nel cinema italiano di oggi) venga messo in scena, ma anzi avvicinandocisi ed esplorandola in punta di piedi.
Biopic, grottesco, fantascienza: il cinema italiano c’è, ed è innegabile. Con orgoglio.