Venezia 2017: Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh (in concorso)
La Sala Grande rideva, in preda a una sorta di delirio da sagra, quasi assordante. Succede sempre così: non appena un film svela le sue qualità comiche, il pubblico di badge holders veneziano si scatena libidinoso, enfatizzando per dieci, cento, mille qualsiasi input commediesco a “battuta del secolo”.
C’è da dire che Martin McDonagh, al terzo film, dimostra nuovamente di saper coniugare il suo sapiente passato teatrale a quelli che possono essere considerati i “crismi del cult”: battute a raffica, momenti che sono pugni nello stomaco (già i tre manifesti del titolo, non appena appaiono, sono in grado di dare quel brivido di perfezione equilibrata tra atrocità contenutistica ed impeccabilità pop della forma), violenza pronta a dilagare nel compiacimento ammiccante del pulp più terreno, tensione western, cast apertamente rivolto a una determinata platea d’amanti. Perché Frances Mcdormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell sono qui a fare Frances Mcdormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell, proponendo il meglio delle loro maschere.
Three Billboards gode di tutto ciò, e in questa fermezza, nel suo essere un film misurato e su misura, sta tutto il suo pregio. Il modo di dire porterebbe a digitare “Sceneggiatura a prova di bomba” (con una regia completamente consapevole ed al servizio di questo), ma l’eco diretto di ciò è quello della meccanicità, della solidità strutturale, della prova d’autore che propone il suo progetto architettonico con fare quasi scientifico. Ma è un’altra delle caratteristiche del cult quella della misura, del sapore trasversale.
A McDonagh, abile assemblatore, va giusta gloria in virtù di ciò. Ma se di pugni nella pancia indubbiamente si tratta, davanti al fatto che al centro dell’attenzione ci sia l’aggeggio che i pugni li tira invece che il ventre dello spettatore, non possiamo fare altro che defilarci salutando educatamente.