Vox Lux – Brady Corbet: Ho parlato con il diavolo, mi ha detto “Delego”
Regia: Brady Corbet
Sceneggiatura: Brady Corbet
Cast: Natalie Portma, Jude Law, Stacy Martin
Anno: 2018
Produzione: USA
Brady Corbet aveva già impressionato Venezia nel 2015 con The Childhood of a Leader, pellicola (letteralmente, in questo caso e per Vox Lux, così proiettati) opera crepuscolare, contorta e mefistofelica.
Con Vox Lux, Corbet (classe 1988, mannaggia a lui), si riconferma un regista/autore completo e compatto, con tutti i pro e i contro. A differenza di László Nemes che, col suo secondo film Sunset, dimostra di non saper andare troppo oltre “quella roba lì”, Corbet riesce a macchinare un film che rimane coerente con determinate linee – grezze, grigie, fatte con la cenere su un muro – del suo esordio, amplificando una certa visione operistica, lavorando su quelle ispirazioni già palesemente evidenti in Childhood e che adesso occupano maggior spazio.
A suo modo, Vox Lux è una declinazione moderna dello stesso argomento: la rappresentazione del demoniaco nella sua forma più sibillina, sottile, radicata, qui giocata di attraverso temi più o meno attuali (anche se oggettivamente consumati) quali le stragi nelle scuole e la musica pop. Se nel plasmare il Maligno nelle aride vicende una ricca casata di inizio Novecento il tono era tout court quello di un racconto gotico, adesso ci ritroviamo davanti a un dramma plumbeo, surreale, traslato, esagitato, convulso.
Rimangono i capitoli, torna la fotografia esasperata, ripercuote l’aggressività delle musiche. Corbet è un regista violento, completamente formale e strutturale (come il primo Aronofsky), che potrebbe piegare all’architettura cerebrale della sua scrittura qualsiasi tipo di vicenda. Quasi ogni momento è freddo, disperato, girato come una catastrofe incombente. Tra questo e il suo film precedente, è chiara l’impronta del suo Cinema: allegorico, liturgico, di paura ed attrazione, di immagine e suono sempre e comunque marmorei e asfissianti.
Al contempo, questa esagitazione immaginifica, ci giunge puerile nella sua rabbia, giovane nella sua fissazione, ed insieme puro, esplorativo, cinefilamente gioioso, macabro. Un’energia che ha però come contraltare alcune debolezze: è infatti nei momenti in cui il clima si “normalizza” che il film si affloscia, dandoci dei dialoghi tirati e a loro modo superflui e idealmente “sostituibili da altro”: confrontandosi con questa semplicità, Corbet inciampa ripetutamente, perché in questi momenti non può che mettere in fermo tutto il suo meccanismo prediletto. È qui che il film muore, piazzando lì dove sarebbe necessario un crescendo, poche linee di rumore che non soddisfano, facendo borbottare il motore fino a quasi farlo fermare.