EMA di Pablo Larraín – Psichedelicopablicamente
Regia: Pablo Larraín
Sceneggiatura: Guillermo Calderón, Pablo Larraín, Alejandro Moreno
Cast: Mariana di Girolamo, Gael García Bernal
Anno: 2019
Produzione: Cile
Sempre uguale, sempre diverso: quella di Larraín sembra ancora una volta una voglia di fare cinema non frammentata e che in ogni opera butta dentro tutto, lo spreme, lo sfrutta lo esplora.
Un cinema che non sente il bisogno di far dialogare tra loro i film – al massimo di soprapporli – tanto che qualsiasi sia il “primo Pablo Larraín visto” andrebbe bene.
Ancora una volta, lo straccio di plot tra le mani viene preso e premuto, fino a dissanguarlo, facendo sgorgare, ancora viva e calda, la sua sostanza. Punti di pressione diversi, che questa volta non sono crepuscolari e disorientanti ma carichi di luccicante sadismo.
Ema è un film fatto di ambiguità e cattiveria, e insieme di posa e attrazione.
Uno dei pochi in grado di far friggere visivamente esaltazione visiva e disgusto contemporaneamente, il suo dispositivo questa volta è forse più “giocattoloso” del solito: più arty, più fluo, più randagio, più elettronico, meno equivoco.
Perché questa volta è meno sfumato il confine tra cosa stiamo guardando e come lo stiamo guardando.
Piromania, abbandoni, manipolazioni, egoismi messi sotto una teca, con le luci “giuste”, con lo spettacolo a incellophanarli. Larraín ci tira da una parte e poi dall’altra, ci dà il dolce e poi l’amaro, l’amaro nel dolce, il dolce nell’amaro. Cromatismi avvelenati, gente di merda, messa in scena esaltata come suoni precisi e artificiali messi in ritmica.
Per Larraín è il film, la regia, a venire prima di tutto. Forse questa volta un filo di troppo, ché nel procedere è più l’attesa per la sua prossima trovata che per l’insieme in sé, ma in modo infine mai condannabile e sempre cristallino nei suoi intenti, per quanto subdoli essi siano.