PADRENOSTRO di Claudio Noce
Regia: Claudio Noce
Sceneggiatura: Enrico Audenino, Claudio Noce
Cast: Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Garaci
Anno: 2020
Produzione: Italia, Belgio
La persistenza della realtà su certo cinema italiano (quasi tutto verrebbe da dire, seguendo un cliché che comunque molto probabilmente avrebbe la statistica dalla sua) è una sorta di maledizione. Vaghe e ingenue rimangono le speranze ad ogni logo che appare sullo schermo. Eppure un abbandono all’onirico, all’elaborazione dei ricordi, alla ricreazione narrativa sembra esserci, in questo Padrenostro, per quanto Claudio Noce non sia in grado di rendere quelle che sono le idee alla base del racconto.
È un certo immotivato pudore, probabilmente, quello che lascia al palo progetti come questi, che li rende insipidi per l’occhio attento e “esagerati” per quello generico. Perché tutto in Padrenostro è al suo posto in maniera quasi da manuale: la cornice ambientata nel presente (ovvia? banale? funzionale), il mescolarsi di flashback, la figura di Pierfrancesco Favino che aleggia come un fantasma pesante, come se fosse capace di annullare l’aria respirabile con la sua presenza, la storia recente, l’amicizia, il perdersi del mare, l’alone del ricordo perenne e sconnesso. Ma rispetto questo appello ben riuscito di elementi è, al solito, l’orchestrazione generale a non permettere un’esperienza veramente immersiva.
Alcuni film si vergognano, e Padrenostro è uno di questi, come se fosse vietato andare oltre il documento e oltre il pathos. Mai abbastanza sogno e mai sufficientemente incubo, parziale verità ed incompleto dolore personale, il film non arrancanca, ma mai decolla: va dritto e sfiora tutte le sue possibilità, per poi tornare nei ranghi dell’intelligibile, del composto ed educato racconto.
La riflessione sull’infanzia, il dedalo della memoria storta, il sapore del sangue di un attentato, i mille diversivi che costellano quell’episodio centrale: è tutto un fondale, un potenziale che non possiamo sfiorare ma solo vedere di sfuggita, mentre scorre il cinema educato e timido, come un bambino che non può raggiungere le caramelle.