L’ÉVÉNEMENT di Audrey Diwan – Cannes opposite
Regia: Audrey Diwan
Nazionalità: Francia
Cast: Anamaria Vartolomei, Kacey Mottet Klein:, Luàna Bajrami
Conversione cannense, con un vincitore veneziano quanto mai simile ma distante, legato in modo rarefatto e complementare a quel Titane dalla grazia colpito. Due film di corpi femminili, qui impugnante la Storia, lì trasudante una cinefilia masticata fino a diventare una palla informe e colorata. Ma ciò che lega le pellicole è il concetto stesso di corpo-luogo inquinato, rinnovato, rispetto al quale trovare libertà e rilettura volte verso il nuovo. Se in Titane abbiamo assistito a una rarefazione immaginifica – una fairy tale post-Cronenberg – “contentamente” alle prese con i propri discorsi di anime perdute e di ibridi fisici impossibili fino all’impalpabile dato dalle scelte stilistiche, in L’Événement, sotto il cappello dell’obsolescenza dei costumi e delle libertà negate, l’intera vicenda viene tradotta in immagini impregnate e sporche.
Audrey Diwan sceglie di raccontare una gabbia totale e opprimente, con una macchina a mano nervosa e inquadrature strette, decide nettamente di incastonare il tutto in un asfittico schema di inquadrature in perenne continuità tra di loro, sia nel framing che nelle scelte cromatiche e ambientali. Perché quello de L’Événement è un affondare nella negazione e nell’oppressione tramite un cupo ed infetto in cui tutto è una sensazione di inadeguatezza e (retro)cessione delle proprie libertà e preludio di quell’aborto. Non una luce è rassicurante, non un muro è pulito, non un corpo è possesso.
Nel pregio di saper coniugare e livellare stili solitamente fini a loro stessi (ci viene in mente László Nemes) e senza divagazioni o dilatazioni spurie nel farlo, a rendere L’Événement un film completo e coerente è il suo saper concedersi, con effetti a duplice lettura (il disgusto, il sussulto, la centratura), al cattivo gusto, lì dove questo è capace di incoronare un meccanismo altrimenti gradualmente lineare: se l’atmosfera è fin da subito chiara, ben presto viene normalizzata dal suo essere fin da subito miratissima sulla tesi espressiva, ma capace infine di affondare nel macabro.