LA VITA E’
MERAVIGLIOSA
REGIA: Frank Capra
CAST: James Stewart, Donna Reed, Lionel Barrymore
SCENEGGIATURA: Frances Goodrich,
Albert Hackett, Frank Capra
ANNO: 1946
A cura di Pierre Hombrebueno
BUONISMO NECESSARIO
La vita è meravigliosa è uno di quei film che con l’andare del tempo,
invece di riempirsi di muffa, diventa sempre più
affascinante e coinvolgente, quasi come un atto di magia (tecnicamente) inanalizzabile in quanto tutto basato su una poetica
emotiva.
E’ innanzitutto l’atmosfera retrò, che con il passare
degl’anni, annegando nel post-moderno, diventa sempre più ricercato,
proprio perché qualcosa di solamente sognabile per chi in quegl’anni
gloriosi del Cinema ancora non era nato, e che si deve perciò solamente
accontentare di una (ri)riproduzione, in cerca di
quei sentimenti battuti e ribattuti ma sempre funzionali.
E La vita è meravigliosa, nella sua (non) apparente semplicità, entra nel
cerchio del tipico schema narrativo di Capra: una prima difficoltà superata che
ci mostra la bontà del protagonista (in questo caso, George
Bailey che di fatto salva il suo datore di lavoro),
l’ascesa verso la gloria (George Bailey che si sposa, facendo figli su figli, e divenendo
celebre in città per la sua estrema gentilezza), il picco improvviso (la
società del protagonista in fallimento economico), e poi, la happy ending che mette il cuore in pace a tutti, magari
strappando qualche lacrimuccia qua e là.
In più, abbiamo il Natale, quello ancora incontaminato dagl’aggeggi
commerciali e che solo la vecchia Hollywood riusciva a renderci così magico, in
piena tradizione di “fabbrica dei sogni”, ed effettivamente, è
proprio ciò che fa (grandiosamente) Capra: produrre sogni a confetti.
Il buonismo di Capra, così come il futuro Spielberg, non è affatto la convenzionalità di scaldare il
cuore degli spettatori o imboccar loro a tutti i costi l’happy ending, bensì solamente trasmettere un sogno utopico. Capra
è un grande sognatore, e crede che la vita possa veramente essere meravigliosa.
Il suo George Bailey,
dunque, rappresenta tutti gli uomini, e in qualche modo cerca di delineare un
modello d’esistenza, che sta appunto nell’amare la vita ed
apprezzarne ogni singolo momento. In questo senso, l’alter-ego del
regista diventa Dio in persona (o meglio: quella specie di stelletta che
vediamo all’inizio del film), che per ricordarci la bellezza della vita,
manda in terra Clarence, un angelo un po’ goffo
dal volto di Henry Travers
che è invece la metafora del film stesso e del suo livello di significazione.
E’ facile
connotare una retorica caduta nel patetismo, eh si, definiamo pure quest’opera come patetica, eppure non è altro che il
Cinema nella sua trascendenza più viva e pulsante, quel mondo dei sogni dove
più di ogni virtuosismo con la macchina da presa, più di ogni idilliaca
sovrimpressione sperimentale, conta la poetica personale/personalizzata che si
trasmette anche con la più banale semplicità. Tutto ciò ha dell’inspiegabile,
del magico, e Capra va amato proprio per questo, per il suo essere tutto e
niente, proprio come l’essenza stessa del Cinema, tra essere e non
essere. E perdio, grazie al cielo esiste un
pacco-dono (di Capra) a ricordarci tutto ciò, prima della grande depressione e
dei futuri noir spezza-speranze. In fondo abbiamo
bisogno di film come La vita è meravigliosa, così come abbiamo bisogno di
sperare in un qualcosa dal domani per poter continuare a campare.
E per quanto la messa in scena sia impeccabile (in particolare la contiguità
tra i quadri, precisissima e studiata da manuale), ciò che conta in questo film
è l’espressione emotiva/sentimentale, motivo per cui Capra si concentra
soprattutto sulla direzione d’attori, in particolare James
Stewart, mai così caloroso sugli schermi.
Tantissimi i momenti che più volte strappano un sorriso e una lacrima, in
particolare ricordiamo uno dei finali più forti della Storia del Cinema: il
protagonista che corre per le strade urlando Buon Natale con euforica gioia,
sprizzando allegria da tutti i pori mentre la neve addobba il contorno.
E’ il trionfo dei vecchi sentimenti, dell’icona hollywoodiana che
viveva regalando immagini di vissuto alle persone senza vita.
Si, è patetico tutto ciò. Ma contro il cinismo (incarnato dal signor Potter), ammettiamo che un pezzo del nostro cuore è davvero
in quella strada con George Bailey,
e che in verità, sotto sotto, siamo tutti sognatori. Anche perché se non lo fossimo, significherebbe semplicemente che
non abbiamo mai amato il Cinema.
(24/12/05)