V PER VENDETTA

REGIA: James McTeigue
CAST: Natalie Portman, Hugo Weaving, Stephen Rea
SCENEGGIATURA: Larry & Andy Wachowski
ANNO: 2005


A cura di Pierre Hombrebueno

TRANS-CINEMA (IN META-CINEMA)

Francois Truffaut era solito dire qualcosa come: “Un buon film, per essere tale, deve avere contemporaneamente un’idea sul Cinema e un’idea sul Mondo”. Una definizione molto interessante, di quelle che si rifiutano d’isolare il Cinema in una dimensione fuori dal mondo, anti-duchampiano quindi, da critico (perché Truffaut, prima ancora di essere un regista, fu un grandissimo critico) talmente amante dell’opera(to) cinematografico da ritenerlo capace di cambiare il mondo, di plasmarsi come due verità inseparabili, reiterati.
V per Vendetta risponde perfettamente non solo a questa definizione, ma anche all’ideologia del primo Godard, che vedeva nel Cinema un linguaggio che deve moralmente impegnarsi in campo politico, una visione da illuminista, tanto per intenderci.
Ma V per Vendetta è anche un atto di generosità, quello dei fratelli Wachowski che come George Lucas, hanno il coraggio (e la voglia) di condividere la propria creatura: V per Vendetta è essenzialmente un film dei Wachowski, ma messo in scena da James McTeigue, un debuttante come primo Lord, ma già dietro le quinte come aiuto regista per opere quali la trilogia di Matrix e Guerre Stellari: L’attacco dei cloni. McTeigue, dunque, diventa corpo movente per i Wachowski, che rimangono comunque il cervello pulsante dell’operato, della trasposizione cinematografica della graphic novel di Alan Moore, probabilmente incazzato per le tante differenze apportate al suo libro. Anche qui nasce la solita diatriba, e anche il solito stereotipo: “Ma il libro era migliore del film, ecc ecc”. Stereotipo assassino, da persone non amanti del Cinema, della “libertà” cinematografica che postula la completa appropriazione (e quindi: rilettura) di qualsiasi opera precedente da parte dei realizzatori. Probabilmente chi ancora si nasconde dietro quello stereotipo ama maggiormente la letteratura che il Cinema, e niente di male in questo, ma non è affatto un’argomentazione corretta capace di confutare la bellezza visiva ed ideologica di V per Vendetta, che riesce nel tentativo di rileggere tutto il Cinema pre-esistente in chiave post-moderna (da non confondere con Tarantiniana) e nel contempo riflettere su tutto ciò che sta al di fuori dello schermo: libertà e politica. E l’opera dei Wachowski, tramite una metafora non poi così celata (proprio come il The Village di Shyamalan) funziona molto più dei diversi film post-11 Settembre (in primis: Syriana) che hanno tentato di riflettere e rispecchiare l’agonia della vita che si rispecchia, o dello specchio che si vitalizza. Con quell’aria sempre libertina, anarchica (e quindi, sex pistolsiana) che invita, più di un qualsiasi Michael Moore, alla ribellione/rivoluzione, in un continuo riferirsi ed essere riferito a verità e finzione, Cinema e trans-Cinema (o anche Meta-Cinema). Perché l’assassinio del conduttore tv che ha osato prendere per il culo il Dittatore tramite il suo programma televisivo mi ricorda (riflette) tanto quella Sabina Guzzanti e il suo Viva Zapatero. Perché il Nazi-Fascismo l’abbiamo avuto poco più di 50 anni fa. Perché in molti paesi di cui non ci curiamo nemmeno l’esistenza, vigilano ancora degl’Hitler o dei Mussolini, e primo fra tutti l’aveva inquadrato Orwell, a cui devono tantissimo sia i Wachowski che Alan Moore stesso. Il Cinema, dunque, continua a riflettersi nella vita quotidiana, continua ad incitare (militanza, che Godard amerebbe a priori), oltre che (in)citarsi in quel frammento storico che vedeva metempsicoticamente uniti l’Arte e l’Ideologia Politica: Parliamo della scuola sovietica degl’Ejzenstein e dei Pudovkin. E proprio Pudovkin viene omaggiato fin dalla primissima scena, con quel primo piano retrò sulla donna piangente che ci rimanda direttamente alla fotogenia di Vera Baranovskaya in La Madre, guardacaso un film-invito-manifesto a rovesciare il potere corrotto e dittatoriale.
E’ invece la figura di Maria Falconetti (La Passione di Giovanna D’Arco Carl Theodor Dreyer) ad apparirci come un fantasma che prende il corpo di Natalie Portman nelle scene di tortura nella prigione, a rimandarci quella libertà controllata e forzata, perché in fondo ancora oggi siamo tutti dei Falconetti, tra catene e torture tinte di poetica (altro che Clooney e le sue unghie strappate) resa ancor più intensa dalla bravura espressiva (ed espressionista) della ex-Mathilda di Leon.
V per Vendetta è un Matrix che si fa più concreto, meno robotico e più attualizzato, meno mistico e pseudo-zen. Il collega Sandro Lozzi, una volta, mi disse: “Matrix è la Bibbia del (Cinema)Post-moderno”. Quindi, Neo come il nuovo Gesù Cristo salvatore. Il nome in codice V diventa però l’Anti-Cristo (la risposta indiretta a Matrix), il supe-uomo Nietzschiano che sposta l’attenzione dal singolo alla massa, perché se non possiamo essere tutti dei Neo, possiamo invece essere tutti dei V, proprio come ci mostra la scena finale del film, con quella folla tutta con la maschera di Guy Fawkes (“Non è il popolo che dovrebbe avere paura dei governi, sono invece i governi che dovrebbero avere paura del popolo”), prima dell’esplosione kubrickiana, con la sinfonica gioia del concerto classico-barocco. Utopia. Miracolo, proprio come V per Vendetta è un film che ha del miracoloso, denso di significati (e significanti) paradigmatici. E questo, nel Cinema (e non solo), va accolto a braccia aperte.
V per Vendetta. V per Violenza. Insomma, è la (V per) Vita.

(26/03/06)

HOME PAGE