A CASA NOSTRA
REGIA: Francesca Comencini
CAST: Valeria Golino, Luca Zingaretti, Giuseppe Battiston
SCENEGGIATURA: Francesca Comencini, Franco Bernini
ANNO: 2006
A cura di Luca Lombardini
ROMA 06’: SAPESSI COME
E’ STRANO…
…darsi appuntamento a Milano. Deve essere più o meno quello che hanno
pensato per circa un’ora e quaranta i “personaggi in cerca di
autore” di A casa nostra,
talmente spaesati da chiedersi alla fine se l’autore, pardon
l’autrice in questione, ci fosse o meno.
“La Comencini di cui ci fidiamo
di più”, si era detto. E che vuoi, a forza di ripeterselo uno ci aveva
pure creduto, anche perché Mi piace
lavorare, tutto era tranne che un brutto film.
Con A casa nostra invece, una delle
tre figlie del dimenticato Luigi
Comencini, è riuscita nell’impresa di riassumere in una sola
pellicola tutti i difetti che da anni annebbiano la produzione cinematografica
italiana, che tanto piace in patria quanto nessuno si fila oltre confine.
La sua ultima fatica infatti, rivela quanto nulla di nuovo ci sia sotto il sole
di un certo cinema d’autore battente bandiera tricolore, furbetto e
presuntuoso quanto mai, con tanti interpreti e tante storie, ma nessuna che
valga la pena di essere ascoltata fino alla fine.
Soldi, sesso, tradimenti, intercettazioni telefoniche (che novità!), questi gli
ingredienti di una pellicola la cui superbia più grande risiede nel voler
immortalare le poche virtù e i molteplici vizi del nostro tempo, ma in realtà
fa dello stereotipo il suo asse portante, mettendo in scena una sequela di
maschere prive di una qual si voglia profondità psicologica, che trasformano i
suoi protagonisti in innocue macchiette (la prostituta dell’est, la
modella cocainomane, il banchiere avido e intrallazzatore, e chi ne ha più ne
metta).
Vorrebbe denunciare la Comencini, ma
non si accorge di essere fuori tempo massimo per inserirsi in un modo di fare
cinema che poteva avere la sua utilità negli anni sessanta e settanta, ma oggi,
nell’epoca della notizia immediata, di internet e della monarchia
televisiva, risulta quanto mai inutilizzabile, a meno che non si trasferisca (Il Fantasma di Corleone e In un altro paese sono lì a provarlo)
nel contesto informativo del documentario.
Mi piace lavorare funzionava proprio
perché circoscritto ad un universo preciso, mentre qui si cerca “il
valore della vita in un mondo di profitti” attraverso la coralità in
stile Altman, ma la soluzione finale
è lontana anni luce anche dai modelli più praticabili in stile Crash. Inoltre, se si vuole colpire lo
spettatore sbattendogli in faccia le brutture della sua terra, bisogna
aggredirlo, urlare il proprio disappunto, e non nascondersi dietro uno stile
rigoroso e asettico; allo stesso tempo, per rendere credibili i riferimenti
alla struttura corale di un certo tipo di cinema americano, è necessario un
lavoro di sceneggiatura ancor più minuzioso di quello fatto in sede di regia,
mentre in A casa nostra i destini di
queste anime perse non si incontrano quasi mai, eccezion fatta per la
risolutiva sequenza finale, che tanto sa di pezza messa là per salvare il
salvabile. Ecco quindi, che puoi avere a disposizione i migliori attori e le
migliori promesse che il cinema italiano possa oggi permettersi, ma se li
abbandoni a loro stessi il risultato non può non essere deludente, perché
sperare di portare a termine un film con la sola originalità di Battiston e Bebo Storti, è pura
utopia.
Molte delle perplessità però, svaniscono in sede di conferenza stampa, per la
precisione attraverso l’intervento di Carlo
Macchitella, produttore del film che prima si definisce “né critico,
né cinefilo” (e già qui verrebbe da chiedersi perché investe dei soldi in
un mondo che poco conosce, vista la sua poca competenza cinefila), e
successivamente apostrofa l’atteggiamento di una collega come
“tardo stalinista”, solo perché quest’ultima, ascoltati i
fischi al termine della proiezione, aveva chiesto alla signora Comencini un parere autocritico sul suo
film (“non trova che sia eccessivamente lento?”, suonava più o meno
così, il terribile affronto).
Dopo la presa di posizione di uno dei curatori del bel saggio Cinemaitalia 2005
infatti, tutto è più chiaro: A casa
nostra è stato scritto, prodotto e diretto, immaginando un pubblico ideale
e ignorante, che nulla sa degli scandali economici che segnano da ormai troppo
tempo il paese; per fortuna che esiste ancora una sparuta minoranza che legge i
giornali e guarda il TG della sera, e che “volgarmente” rumoreggia
quando si trova di fronte a chi vorrebbe fargli credere che certi giochi di
potere li capisce solo lui.
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