L’AMICO DI FAMIGLIA

REGIA: Paolo Sorrentino
SCENEGGIATURA: Paolo Sorrentino
CAST: Giacomo Rizzo, Fabrizio Bentivoglio, Laura Chiatti
ANNO: 2006


A cura di Luca Lombardini

CRAVATTARO!

Geremia “cuore doro” si trascina, biscia strisciando dietro i suoi <<fratelli e sorelle care>> con passo afono, camuffato dal suo cappotto logoro e unto procede con passi sveltissimi, rivelando l’orlo troppo corto dei suoi pantaloni. Se non fosse per il suo olezzo assomiglierebbe all’acqua, inodore e insapore, ma ciò che lo frega è proprio la pessima secrezione del suo corpo. Questo però, non gli impedisce di catapultarsi nella vita altrui, e una volta entrato non ne esce più, perché, come spesso ripete: <<il mio ultimo pensiero sarà per voi>>.
Geremia (un Giacomo Rizzo nel ruolo della sua vita) è un usuraio travestito da sarto, vende sogni dalla forma rettangolare, carte colorate di giallo, rosa, blu e verde, immatricolate da numeri terminanti con uno o più zeri, combinazioni in grado di aprire le casseforti contenenti i più inutili tra i desideri.
E’ lui L’amico di famiglia dell’ultimo film diretto da Paolo Sorrentino, “uomo in più” del cinema di casa nostra, cantore di figure marginali e alienate, ombre abituate ad oscurare gli sfondi d’angolo che, come per incanto, si appropriano di un palcoscenico di cui forse non conoscevano persino l’esistenza. Quello intrapreso dall’autore de Le conseguenze dell’amore, è un viaggio stordente e straniante nei luoghi più appartati della provincia italiana, terre di mezzo dove tutti passano ma nessuno si ferma, zone ideali per immortalare il vagabondare senza meta di figure ai margini della società, quelli che, per usare un espressione cara al regista, “puoi vedere solo alla domenica pomeriggio”. La provincia raccontata da Sorrentino possiede la stessa malinconia e la medesima dose di disperazione di quella cantata dai Baustelle ( estetica anestetica/provincia cronica), diverse le coordinate geografiche (le zone limitrofe a Siena per i celebratori de La malavita, l’Agropontino per il cineasta napoletano), terribilmente simili i fantasmi che le popolano.
L’amico di famiglia fa sue le contraddizioni nostalgiche e le mescolanze culturali di Sabaudia e Latina, stregando con il suo stile personale e ricercato, all’interno del quale riecheggiano passioni scorsesiane (l’esecuzione sulla spiaggia) e rimandi al cinema di Fassbinder (l’ossessione per i personaggi estremi ed emarginati). La straordinaria fotografia di Luca Bigazzi, contribuisce in maniera determinante a ritrarre l’allucinato orrore di un’amarissima commedia, dove uno strozzino della peggior risma, un cowboy che sogna il Tennesse e una miss Agropontino qualunque, si contendono la scena, tentando di rimanere aggrappati con le unghie e con i denti al loro insperato quarto d’ora di gloria.
Come in A casa nostra, il denaro diventa il motore trainante dell’intera vicenda ma, al contrario della Comencini, Sorrentino non fa altro che raccontare una storia, senza voler impartire lezioni morali e guardandosi bene dal giudicare chicchessia, “limitandosi” a sottolineare la futile superficialità dei bisogni dell’essere umano, capace di trasformare un impataccato parassita in benefattore della comunità, un essere sgradevole che vive del riverbero raccapricciante della sua morale, e lo fa specchiandosi negli occhi delle sue vittime, le cui pupille riflettono la sua stessa mostruosità.
Conquista cuore e occhio L’amico di famiglia, inizia a succhiarti il sangue dalle vene fin dal suo meraviglioso incipit e non ti lascia più, e lo fa attraverso una cura dei particolari che ha dell’incredibile, un puzzle su grande schermo dove tutti i tasselli sono al posto giusto: regia, fotografia, sceneggiatura, danzano insieme con coreografica perfezione, cullati dal suono ammaliante e avvolgente delle musiche di Teho Teardo, nel recente passato “uomo remix” di band del calibro di Placebo e Marlene Kuntz, qui talmente abile da dar vita ad un riuscito cross-over tra sonorità elettriche in stile Aphex Twin, e malinconiche ballate come la splendida My lady story, sussurrata da Anthony and the Johnsons.
L’amico di famiglia provoca al cinefilo lo stesso grado di addiction che l’eroina produce nell’organismo di un tossicodipendente, durante i titoli di coda, è difficile non pensare ad un'altra parola che non sia ancora, ancora e ancora…
Se conoscete un altro regista italiano in grado di sortire lo stesso effetto con soli tre film all’attivo, fateci un fischio.

 

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(11/11/06)

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