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PAOLO SORRENTINO: INTERVISTA – L’AMICO DI
FAMIGLIA
A cura di Luca Lombardini
Ore
16.00 di lunedì 6 novembre. In una stanzetta della Casa del cinema di Roma, Paolo Sorrentino aspetta pazientemente
l’ultimo incontro stampa. E’ visivamente affaticato il regista
napoletano, ad occhi e croce infatti, avrà rilasciato dichiarazioni più o meno
lunghe per circa quattro ore. Quando mi vede mi invita a sedermi, si stiracchia,
e si accomoda anche lui sulla sedia di plastica che mi sta di fronte. Mentre
preparo il registratore, estrae da un pacchetto semivuoto l’ennesima
sigaretta della giornata che, nel giro di qualche minuto, andrà ad arricchire
la collezione di mozziconi che affolla il posacenere alla sua destra.
L’atmosfera, da formale, si trasforma ben presto in amichevole: mi chiede
per quale rivista scrivo, gli faccio il nome di Positif illustrandogli l’esito del primo Fine di una Stagione, che vide il suo Le conseguenze dell’amore conquistare il terzo posto tra i
migliori film dell’anno, preceduto solo da Million Dollar Baby e Ferro 3.
Metabolizzata la notizia, il suo sguardo si tinteggia di sincero stupore,
sorride e si lascia scappare un: <<meglio di così!>>. Rotto il ghiaccio,
inizia lo scambio di domande e risposte, capisce quasi subito che sono nato e
cresciuto nei luoghi da lui scelti per la sua ultima fatica e, come
d’incanto, crollano tutte le possibili barriere tra intervistatore e
intervistato; l’intervista, da rapido scambio di battute quale doveva
essere (sulla carta avevamo a disposizione dieci miseri minuti), diventa una
chiacchierata amichevole di mezz’ora, durante la quale Sorrentino ci parla di se, delle sue
passioni, e naturalmente de L’amico
di famiglia.
Guardando L’amico di famiglia emerge con chiarezza un legame
indissolubile che unisce i personaggi ai luoghi da te immortalati, quanto è
stato importante in fase di stesura del film questo connubio?
“Esiste sicuramente una relazione tra le personalità e le zone che ho
scelto per questo film. Naturalmente il mio obbiettivo non era quello di girare
una pellicola sull’Agropontino e sulla sua gente, quanto usare questi
posti come metafora della provincia italiana. Volevo descrivere un territorio
di mezzo, vicino ma al tempo stesso lontano dalle grandi metropoli. Latina e
Sabaudia, sono città collocate a metà tra Napoli e Roma, territori bonificati
sotto il fascismo che videro all’epoca il confluire di diverse culture
regionali. Posti dove ancora oggi, è facile ascoltare dialetti diversi da
quello romano e napoletano, sono luoghi di frontiera e al tempo stesso
crogiuoli di idiomi, caratteristiche che mi hanno sempre affascinato.
Se ci pensi bene poi, Geremia stesso è un uomo “di mezzo” figlio di
questa situazione geografica: cura la sua attività in provincia con estrema
prudenza, ma rispetto al padre, che vive a Roma e gestisce giri di usura più
grandi dei suoi, è uno strozzino di serie B. Il suo modo di amministrare il
denaro non concepisce il rischio che è conseguenza delle grandi somme, quando
decide di scavalcare il suo steccato provando ad imitare la figura paterna, va
incontro alla sua rovina”
In conferenza stampa hai insistito molto
su questa definizione: << questi sono personaggi che si possono vedere
solo alla domenica pomeriggio>>. Ti va di approfondire il discorso?
“Il fatto è che non è difficile individuarli, basta passeggiare in quel
tipo di cittadine in alcuni orari della domenica, tempi della giornata che
scelgo spesso per sgranchirmi un po’. Bentivoglio
e Rizzo ricalcano la figura
malinconica di individui solitari che non hanno né il senso della famiglia né
quello del gruppo, della comitiva. Li vedi la domenica pomeriggio perché non
vanno mai in chiesa la mattina come fa la “brava gente di paese”. Puoi
però osservarli passeggiare in una porzione di giornata dove, statistiche alla
mano, il consumo di eroina schizza alle stelle non solo nei paesi ma anche
nelle grandi città. E’ facile immaginare però, come questa tendenza si
accentui in provincia, in posti dove ti senti intrappolato semplicemente perché
non c’è nulla da fare, e allora è facile trovare sollievo in sostanze
tossiche.”
Giacomo Rizzo offre al pubblico una
performance straordinaria. E’ un attore conosciuto ai più per la sua
lunga militanza nel filone della commedia scollacciata degli anni ottanta. Come
sei arrivato a scegliere proprio lui per questo film?
“C’è un legame, anche se latente con il filone che hai citato. Il
fatto è che a metà anni ottanta, quando imperversava quel tipo di cinema, io
ero un adolescente come tanti che si concedeva pomeriggi di sano vouayerismo,
durante i quali ho inevitabilmente familiarizzato con la maschera di Rizzo. Detto questo, mi sembrava
l’attore adatto per interpretare un film che, nonostante le definizioni
sentite in conferenza stampa (dove si è arrivati a parlare di horror),
continuerò a reputare la mia prima commedia. Rizzo poi, credo si stato abilissimo nell’accentuare il lato
grottesco e a tratti comico di un uomo che, con la sua goffa mostruosità, doveva
rendere palese l’orrore interiore e esteriore del mondo in cui
viviamo.”
Visto che ci siamo, che tipo di rapporto
c’è tra il Sorrentino regista e il cinema di genere italiano?
“Come ho già detto in conferenza stampa ci sono tipologie di cinema che, o
non conosco, come il western, o non riesco a guardare come l’horror,
semplicemente perché mi spaventano. Non resisterei due minuti con davanti L’esorcista o Profondo rosso!
La mia formazione cinematografica va rintracciata nella grande commedia
italiana. Per L’amico di famiglia
ad esempio, mi sono ispirato ad un film del 1976 di Scola: Brutti, sporchi e
cattivi”.
Una delle cose più belle del tuo ultimo
film è la fotografia, le qualità di Bigazzi
d’altronde, sono note a tutti: ma quali sono i modelli che vi anno
ispirato in fase di pre produzione?
“Più che filmica devo dire, l’ispirazione è stata sopratutto
pittorica. Ho insistito molto con I
mangiatori di patate di Van Gogh, come riferimento da tener ben
presente per l’abitazione di Geremia. Mentre per gli esterni, i quadri di
De Chirico ci sembravano il
riferimento più immediato. Latina è stata costruita durante il regime fascista,
ha un’architettura precisa e quadrata, De Chirico invece, è passato alla storia come pittore di piazze
sfigurate, ai limiti del metafisico.
Per quanto riguarda la collaborazione
con Bigazzi invece?
“Con lui mi trovo a meraviglia. Siamo arrivati ad un livello di intesa
tale da influenzarci a vicenda. Ne L’amico
di famiglia ad esempio, ha avuto un intuizione meravigliosa: illuminare gli
esterni giorno, cosa che non si fa da anni ma che a me è piaciuta moltissimo.
Lui è un maestro di giochini irrealistici di grande utilità, uno su tutti
quello di riflettere la luce del sole con gli specchi, altra trovata
assolutamente geniale. Il nostro è un lavoro di squadra che nasce dalla volontà
di divertirsi e dal desiderio di sfuggire ai parametri fotografici classici. Io
stesso gioco molto con la macchina da presa, cercando inquadrature al limite
del realizzabile, Luca fa finta di
arrabbiarsi per il super lavoro al quale lo sottopongo, ma sono sicuro che si
diverte quanto me.”
Levaci una curiosità: ma al Sorrentino
spettatore, che tipo di cinema piace?
“Mi attrae il cinema americano cosiddetto indipendente: Coppola, Scorsese ma anche autori più giovani. L’altro giorno ad
esempio, ho visto Le Avventure acquatiche
di Steve Zissou, e l’ho trovato semplicemente strepitoso. Guardo
spesso i film dei fratelli Coen e di David Lynch, un altro regista che amo
molto è Sam Mendes.
Per quanto riguarda l’Italia, mi risulta difficile non citare Fellini e Tornatore, di cui ho apprezzato molto La sconosciuta, ma stimo molto anche alcuni dei miei colleghi come Garrone e Marra”.
(In collaborazione con Gianluigi Perrone)
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