THIS IS ENGLAND
REGIA: Shane Meadows
SCENEGGIATURA: Shane Meadows
CAST: Thomas Turgoose, Stephen Graham, Jo Hartley, Andrei Shim
ANNO: 2006
A cura di Luca Lombardini
ROMA 06’: OI ! OI ! OI !
Margharet Tatcher, Ronald Reagan, filmati in bianco e nero della guerra nelle
Falklands, istantanee e sorrisi di circostanza accompagnati
dall’inconfondibile battere e levare di un pezzo reggae: This is England inizia così, rivendicando con orgoglio le sue origini e la
sua ambientazione storica.
Meadows sa come accattivarsi
l’attenzione dello spettatore, e per questo decide di andarci giù
pesante, senza badare tanto alle sfumature e ai ghirigori. Più che un film
narrativo però, This is England assomiglia
ad un saggio di psicologia sociale incentrato sullo studio delle sottoculture
urbane; come un novello Jankowski infatti
(sociologo portabandiera “dell’osservazione partecipante”,
conosciuto per il rivoluzionario Islands
in the Street, studio sulla gang
giovanile intesa come scelta razionale), il regista si dedica anima e corpo a
restituire dignità ad una categoria spesso bistrattata e quasi mai compresa:
gli skinheads.
E’ già, ora alzi la mano chi non sia convinto che le sopraccitate teste
rasate non siano altro che un gruppo di ubriaconi antisemiti, un branco di
“teste vuote e ossa rotte” dedite al culto della svastica con
l’inclinazione naturale a menar le mani. Niente di più sbagliato invece, Meadows lo sa e dedica 98 sfavillanti
minuti alla rivalutazione di una cultura il cui credo è stato
cinematograficamente più volte travisato (vedi American History X o Romper
Stomper), attraverso lo sguardo profondo e innocente del giovane Thomas Turgoose, alter ego
autobiografico del cineasta che, perso il padre nella guerra tra Inghilterra e
Argentina, trova rifugio e comprensione nella banda di perdigiorno guidata dal
giovane Woody.
L’autore prende immediatamente le distanze dai “surrogati”
americani della filosofia skinhead inglese, incentrando l’intera prima
parte della pellicola attorno alle mode giovanili di inizio anni ottanta (la
scena della rissa nel cortile scolastico, dove si intravedono mods, punk e
bambine che sembrano appena uscite da una discoteca), e sulla messa in scena
dell’infantile e goliardico stile di vita all’interno del quale
viene catapultato il dodicenne Shaun: un mondo fatto di innocenti scorribande
in casermoni abbandonati, pomeriggi passati al pub, e serate trascorse a casa
degli amici ad ascoltare musica ska e reggae, dove non contano certo
l’odio razziale e la violenza quotidiana, ma sono indispensabili anfibi,
camicia e jeans tenuti su con le bretelle.
Mentre fanno capolino rimandi più o meno evidenti al primo Ken Loach e al free cinema, l’accurata descrizione del
“manifesto” originale proprio dell’ideologia skinheads,
lascia il posto al racconto del precoce passaggio dall’età adolescenziale
a quella adulta, salto che Shaun decide di compiere quasi inconsciamente,
abbandonando l’inoffensivo Woody, per diventare la mascotte del reazionario
Combo. Un momento questo, che permette a This
is England di rivelare la sua anima drammatica, secondo registro narrativo
che ben si bilancia con la disillusa spensieratezza caratterizzante la prima
metà della pellicola. Quella di Meadows
è un’operazione non solo azzeccata dal punto di vista strettamente
formale, ma addirittura necessaria se se ne carpisce il vero obbiettivo:
sottolineare quanto per un ragazzo sia importante essere ben guidato verso il
raggiungimento dell’adulto concetto di virilità, e quanto un gruppo a lui
solidale, per quanto mal amalgamato esso sia, possa aiutarlo in questo
complicato percorso di formazione. Lungometraggi di questo tipo infatti,
possiedono un pregio quanto mai raro: sono capaci di far sorridere ma, allo stesso
tempo, anche di far riflettere il pubblico, rivelando a tutto schermo il
coraggio di un cinema vero, sentito e palpitante, in grado di trasformarsi in
intelligente strumento di critica sociale. This
is England è un film che sta a metà tra la rabbia e il giudizio,
sinceramente nostalgico, ma soprattutto lucido quando si tratta di individuare
il vero nemico sociale, che ha il volto e la retorica nazionalista degli
esponenti del National Front, politicanti senza scrupoli capaci di sfruttare a
dovere la collera repressa dei figli del proletariato inglese, facce pulite e
colli strizzati in costose cravatte, tanto abili nell’abbindolare
individui affamati e quasi sempre privi di un cultura di base, da convincere
dei poveri emarginati a svolgere per loro il lavoro più sporco e violento.
Quella di Meadows è
un’istantanea imprescindibile, abile a fotografare nel migliore dei modi
un frammento della recente storia inglese mai proposto con tanta nitidezza e
sincerità, gli applausi scroscianti che accompagnano la dolorosa sequenza
finale, rappresentano il giusto omaggio non solo al valore dell’opera, ma
anche alla coscienza del governo inglese, che non ha tergiversato neanche un
momento prima di produrre di tasca propria un progetto tanto scomodo quanto
necessario.
Senza dubbio, il vincitore morale della prima Festa del Cinema di Roma.
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