WORLD TRADE CENTER
REGIA: Oliver Stone. E si spera sia un caso di
omonimia.
SCENEGGIATURA: Mulino Bianco, reparto Commercials.
CAST: Inesistente.
ANNO: 2006
A cura di Alessandro Tavola
VENEZIA 06’: GOD SAVE THE
STONE: GROUND ZERO (DEL CINEMA)
Annullamento. Negazione. Vuoto assoluto. Morte. Lobotomia.
Prendete l’avvenimento più brutto della vostra vita, quello della
cancellazione di tutte le aspettative, di tutti i sogni, ma anche del semplice
accontentarsi, della semplice indifferenza. Quella sensazione di conato e di
pianto. Di magone. Claustrofobia.
Bene. È questo l’effetto provocato da World
Trade Center.
Sì trattasse di un qualsiasi capolavoro di
Kitano, Cronenberg o Lynch queste parole avrebbero valenza
positiva. Ma si tratta di Oliver Stone,
o perlomeno quello è il nome scritto nei titoli e la persona nelle foto di
scena, il volto di chi ha partecipato alle conferenze e firmato autografi.
Amandolo, odiandolo, ignorandolo non si può negli anni non aver riconosciuto in
lui delle caratteristiche ben precise, a volte magari troppo forti o compresse,
psichedelia, funambolismi di costruzione, una certa ricerca di durezza in
storie e messe in scena volutamente marmoree, ma qui tutto ciò non esiste più.
Va benissimo che lo spirito americanista compianga palesemente l’11
settembre anche sul grande schermo e che la macchina hollywoodiana assoldi uno
dei suoi grandi maestri per raccontare la storia di due mister x che diventano
eroi durante l’evento, tutto attraverso una trama volutamente scarna:
spesso le regie danno il meglio di sé in situazioni del genere (Raimi con gli Spider-man), ma qui l’estremo folle genitore di Natural Born Killers si è ridotto ad un
eunuco.
Non è un venduto, non è uno che ha toppato, non è uno che ha messo da parte la
forma per il contenuto. È uno che ha deciso di uccidere se stesso, il proprio
stile, i propri connotati visivi e morali (da e verso il Cinema).
WTC non è un venuto male, troppo frivolo, troppo marcato o troppo semplicista,
ma semplicemente non è un film, nel 2006, e non lo sarebbe stato neanche nel
1930 probabilmente. Non è immagini (se non da spot). Non è parole (se non da
Christian rock). È una marchetta, un’apoteosi di banalità audiovisive. È
l’annichilimento di qualsiasi gusto del costruire per immagini e
soprattutto del guardarle. È la voglia di diventare sordi e ciechi per 130
minuti.
Lo scorrere (arrancare) delle immagini è di quanto più scialbo e inutile si sia
visto negli ultimi anni su pellicola, in una completa assenza di gusto
estetico, un costruire lineare indegno anche per un ipotetico “Filmaking
for dummies”, tedio per un qualsiasi occhio e voglia di eutanasia per
qualsiasi decano stoniano, un’assenza di emozioni che potrebbe fare a
gara con l’attesa dell’autobus.
Le interpretazioni sono praticamente assenti, Cage e compagnia si fanno semplicemente bocche dalle quali escono
parole parole parole, una marea di frasi fatte ormai lontane anche dalle più
infime fiction tv o dal pozzo disneyano, e tutta la vicenda assume connotati
che non riescono neanche ad essere ridicoli, non riescono neanche ad essere.
Solo due tizi bloccati sotto delle macerie che parlano di tutto ciò che uno
spettatore non vorrebbe sentire, e le mogliettine a casa pure. Sentimentalismi
da supermercato. Battute da Beautiful.
Chiacchiericcio da canzonetta pop. Van
Damme aveva script migliori.
L’ormai famosa scena di Cristo che appare con la bottiglietta non riesce
quasi ad essere presa per il culo, non riesce quasi ad essere ricordata.
Neanche i primi 20 minuti riescono a tenersi in piedi visto che pure la
semplice action scarseggia, così pure gli effetti speciali che talvolta
appaiono, innocui, innalzando solo il valore dei blockbuster di Emmerich e Bay.
Morte delle sicurezze statunitensi dipinte quali morte del cinema: questo
l’unico concetto che regge. Ma anche no.
Ceneri delle torri gemelle, ceneri della torcia dello splendore filmico (già
ben spazzate via), ceneri (troppe o troppo poche) della ganja di Stone e dei soldi che si è preso magari
per adempiere a doveri contrattuali sugli incassi del caro vecchio Alexander. Major strozzine. Stone Il coraggioso.
Non sono un cinico o un infame. Tanto meno qualcuno che gode nel massacrare
gratuitamente i film. Semplicemente rido per non piangere. Requiem (speriamo
momentaneo) per colui che riuscì a raccontare Alessandro Magno nella sua
identità omosessuale, fece ricevere un oscar a Michael Douglas e che adesso non riesce (o non vuole) neanche
gestire un primo piano buio di Nicholas
Cage.
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