LA STELLA CHE NON C’E’
REGIA: Gianni Amelio
CAST: Sergio Castellitto, Tai Ling, Hiu Sun Ha
SCENEGGIATURA: Gianni Amelio, Umberto Contarello
ANNO: 2006
A cura di Davide Ticchi
VENEZIA 06’: LE CHIAVI DEL
MONDO
Il cinema di Amelio risponde sempre,
e soddisfacentemente, alla richiesta di un pubblico amante
dell’avventura. Pare strano a dirsi, può stonare nel contesto solito in
cui lo si intende, ma, sui generis, è proprio così, e c’è un perché ben
preciso che in troppi tendono a trascurare quando si tratta di erogare giudizi
sui suoi film. Il perché riguarda principalmente ognuno di noi, la voglia di
evasione che alberga nella nostra indole naturale, e che talvolta ci
chiamerebbe a superare le barriere e gli ostacoli dell’avventura/vita se
solo ce li ponessimo come tali: draghi di scale grigie da valicare e mostri
marini che attraversano le acque sornioni, con noi sopra il loro dorso. La vita
è un’incognita e come tale va intrapresa, senza troppe certezze presunte,
zavorre, pronte ad infrangersi sotto il peso di un “qualcosa è andato
storto”, ma al contrario, quel qualcosa potrebbe rivelarsi il segno di un
nuovo inizio. Così è stato per Antonio, carabiniere ne Il ladro di bambini, Gianni, padre felicemente risposato in Le chiavi di casa, e così è oggi per Vincenzo Buonavolontà, manutentore
abbandonato dalla sua ditta. Tre figure umane dignitosissime per il loro basso
profilo stimato dalla società, un parapiglia che non permette più la dissonanza
fra “brava persona” e “ladro di bambini, figli,
ideali”. Ogni minima differenza dall’immagine conformizzata e
stereotipata di un uomo lo riguarda nell’intimo, in quella sfera privata
alla quale siamo beatamente indifferenti. Del resto le più belle avventure
della storia dell’umanità e della letteratura sono state intraprese da
uomini soli, come malcapitati di troppo larghe o piccole dimensioni, fra i nani
od i giganti, o dentro intricati labirinti da cui è difficile uscire senza
grandi insegnamenti e gratificazioni. Come un Gulliver postmoderno, Vincenzo
Buonavolontà sbarca in Cina fra i cinesi, in un paese che non ripara i giochi
tanti ne produce, e che sembra vivere peggio di quanto faccia trapelare
l’immaginario collettivo. Questi comincia la propria avventura al fianco
di una poco più che ventenne ragazza del luogo, di nome Liu Hua, che gli fa da
guida, Beatrice di un paradiso perduto come quello cinese, riempito dalle acque
forzate di una diga che sommerge da nord a sud una lingua del paese. Vincenzo
l’attraversa per tentare di giungere sulle tracce dell’acciaieria
compratrice di un altoforno difettoso dalla sua ditta in Italia, e di cui lui
solo possiede la centralina modificata e funzionante. Un semplice,
“irrazionale” pretesto per un progetto più grande, mai pianificato,
che costringe il protagonista “all’avventura”, alle insidie
del futuro antiepico ed antipoetico che lo attende. E forse proprio per questo
epica e poetica è l’alluvione d’insegnamenti, percettibili e impercettibili,
che Vincenzo, come una spugna, assorbe e conserva nel suo bagaglio di alienata
fame di mondo. Come Antonio e Gianni del resto, anche Vincenzo prende spunto
dal proprio mestiere perduto, che sia di guardia, padre o manutentore di sé,
per superarlo e raggiungere un nuovo equilibrio od un nuovo squilibrio capace
di formare l’uomo ancor più di quello che riterremmo normalmente
necessario. La pedagogia è una materia che dovrebbe durare per tutta la vita,
che s’imprime sì nell’individuo in età infantile, ma che ha sfoghi
continui se liberata dalla sua normale evoluzione formativa costretta fra
genitore ed ente scolastico. Gianni
Amelio ha dato più volte sentore di questo pensiero, forgiando
personaggi/uomini nei quali ognuno di noi si può identificare, lungo i viaggi
che ha intrapreso, le difficoltà incontrate e superate traendo sempre nuove
pillole formative per il proprio percorso autoconoscitivo. Per intravedere
qualcosa di più profondo in noi stessi occorre sradicare il nostro fusto dalla
comoda vita di città, dal nostro micromondo e dalla nostra minuscola vita, per
estendere i sensi come delle lunghe braccia che comprendono in sé il mondo
intero, perpetuamente inumidito dalle lacrime. Per imparare a camminare occorre
cadere, rialzarsi e ricominciare; anche Vincenzo Buonavolontà, manutentore
quarantenne di altiforni, ha avuto il coraggio di perpetuare tale insegnamento,
come prima di lui altri uomini comuni dei quali qualcuno, ancora,
fortunatamente, (o)sa raccontarne le gesta.
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