THE QUEEN

REGIA: Stephen Frears
CAST: Helen Mirren, Michael Sheen, James Cromwell
SCENEGGIATURA: Peter Morgan
ANNO: 2006


A cura di Pierre Hombrebueno

VENEZIA 06’: APPUNTI MENTALI SU THE QUEEN DI STEPHEN FREARS

Si vocifera che alla presentazione ufficiale di The Queen alla Mostra di Venezia, fossero presenti ben 8/9/10 avvocati della Famiglia Reale pronti a fare causa in caso di scorrettezze politiche/etiche di quest’ultima opera di Stephen Frears, che tratta delle reazioni emotive da parte di popolo e Regina Elisabetta dopo l’incidente mortale di Lady D. Argomento scottante, con quel pubblico affamato di polemiche alla Michael Moore, fame destinato però a non essere appagata. Questo, ancora una volta, grazie alla mano di Frears, un tocco di classe che risalta tutta la sobrietà e l'animo anti-ricattatorio del suo Cinema, soffice e soffuso allo stesso tempo.
In primis ritroviamo in lui il totale rifiuto dell’enfatica celebrazione del Cinema come spettacolo di massa, quella filmologia sempre col ricatto dietro l’angolo e quella mancanza di rispetto verso tematiche così delicate e (mis)interpretate. Solo un povero stronzo come Oliver Stone potrebbe usare la potenza emotiva della posta-nera con le vicende terroristiche dell’attacco alle torri gemelle.
Perchè la magnificenza di Frears sta nell'indagare oltre il derma filmico rimanendo però in superficie, oltre i giudizi morali e prese politiche di partito, la totalità dell’autore cinematografico (in bene o in male) oggettivizzato. E in fondo sarebbe stato troppo facile far apparire sua signora la Regina Elisabetta come una mummia anestetizzata che non connette più col cervello. Sarebbe stato troppo facile usare la figura di Tony Blair per esprimere la propria opinione anti-bellica aka riflesso dell’odio pacifista predominante oggi. E perché no, chiunque altro avrebbe forse usato la figura di Lady D. per farcire l'opera di quei sentimenti facili capaci sempre di farci scendere 1 o 2 lacrimucce. Frears raggela tutto questo con una messa in scena secca e un intreccio capace di esplorare ogni angolazione interpretativa sulle vicende narrate, evitando ogni stereotipo ed ogni credenza sui protagonisti. Un esempio lampante è la scelta dell’autore inglese di celare dai nostri occhi la ricostruzione della morte in diretta, quella di Lady Diana sotto quel tunnel inseguita dai paparazzi in moto. Frears ellissa la morte, forse per rispetto, forse per pura soffusione dell’immagine, sta di fatto che questo atto Baziniano diventa l’opzione evidenziata di non scavare mai nella necrofilia spettacolare, di circumnavigare la morte senza affondarci mai dentro. Al massimo la sensazione diventa metaforica, come la scena del cervo ciminiano, il vero momento culmine dell’evocazione alla natura morta della narrazione, fantasmagorica maestria di sguardi tra la vita e la non-vita, la rappresentazione, poesia per eccellenza, di un lutto interno mostrato con la fissità di questi volti segnati dal passato che si fa futuro (non solo la morte di Lady D., ma anche il ruolo della Monarchia, un tempo al massimo della sua gloriosità, nell’Inghilterra dell’era post-moderna).
Indirettamente, è proprio questa pseudo-freddezza a rendere vivi e captabili questi personaggi, a far trapassare emotivamente la loro più pura e semplice umanità, nonostante lo sfondo verve dei dialoghi stupendamente ironici, tipicamente black come tradizione dell'animo british. Ma se nella meravigliosa scena iniziale del colloquio tra la regina e Tony Blair il presentimento potrebbe apparire come un'opera di battute e di interpretazioni, già pochi minuti dopo si avverte quella carica drammatica, essenzialmente umana, che si cela oltre le risate. Le risate sono solo la punta dell'ice-berg. Il resto è silenzio, quel silenzio di lutto, e quindi spirituale, captivo e captante perchè scavante oltre l'immagine e l'estetica più evidenziata, che in questo senso diventa puro medium al servizio dei torbidi scavi profondi che Frears riesce ad invocare, grazie anche all'incredibile ed asciutta interpretazione di Helen Mirren: ricordiamoci semplicemente il discorso ai sudditi, dove dopo le parole uditive che scorrono, la macchina da presa si concede (e soprattutto: ci concede) qualche secondo di fissità del volto di questa regina in totale silenzio, in totale linguaggio mimico, di occhi inlacrimati di sentimenti contrapposti, tra i momenti più alti di tutta la cinematografia di Frears e della carriera di Helen Mirren, un'indimenticabile suggestione della essenzialità cinematografica e classica.

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(13/09/06)

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