THE BLACK DAHLIA

REGIA: Brian De Palma
CAST: Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Aaron Eckhart
SCENEGGIATURA: Josh Friedman
ANNO: 2006


A cura di Alessandro Tavola

VENEZIA 06’: MORTE (E NEW BORN): LA NERA POETICA DELL’ESSENZA VISIVA (RI)VIVE

Brian De Palma è probabilmente, tra i grandi autori americani, quello più altalenante, per qualità effettiva e successo dei propri film, tra insuccessi e cult, opere troppo morbose e pagine da bibbia cinematografica, pur avendo negli anni mantenuto una ben chiara ideologia di fondo per forme, temi, ossessioni e passioni, tra maestranze totali di brividi e paure pulsanti dalle immagini, sempre piene di erotismo come Le due sorelle, Blow Out, Omicidio a luci rosse e, su tutti, Vestito per uccidere, fino alle grandi prove narrative dalla forma soggiogata dal voler raccontare di Scarface, Gli intoccabili e Carlito’s Way, che ancora introducono (come commercio vuole) il suo nome in locandine e trailer.
Resta che ogni suo film è sempre stato intriso di talento quasi magico nel suo compiersi, nel suo utilizzo di estremizzazioni quasi totalitarie, di paura e amore infatti, verso la spietatezza brutalmente elegante del visivo, verso la donna in quanto universale nei pensieri e soprattutto nel corpo, in una sorta di perpetuo omaggio che ricorda in chiave buia quello già da sempre manifestato da Truffaut.

È letteraria la matrice di The Black Dahlia, un libro di James Ellroy del 1987, e, citando, «Sembra scritto apposta per essere un film di De Palma», a detta di chi l’ha letto.
E se quasi sempre le due vene Depalmiane, la puramente emozionale e la prettamente narrativa, sono state discostate, isolate a vicenda in ogni suo film, qua trovano finalmente modo di congiungersi, farsi parte l’una dell’altra, completandosi, in astrazioni e snodi che si fanno totalmente cinema (di genere, ovvero quello più completo nel suo autoimporsi alcuni limiti).
Semplicemente un omicidio e la relativa indagine, ma più profondamente circo di personaggi tipici e resi topici dalle interpretazioni, dalla regia e tutto ciò che concerne questa parola. Non macchiette o personaggi di contorno: ognuno è filo nella tela della vicenda, ognuno è un segreto – di sesso, di sangue – e ognuno meriterebbe di essere protagonista, e da tradizione è il meno coivolto di tutti (Josh Hartnett, attore maturando) a farsi solito Virgilio del girone urbano. Amicizia, amori, rancori, segreti in una sempre più tumultuosa follia da Fantasma del palcoscenico fluiscono scena dopo scena. Il baratro in cui cade và per passi contigui e sempre più oscuri, nell’intricarsi della vicenda, snaturando la maschera di ogni evento, di ogni personaggio, svelando indizi, in quella spirale univoca di disfacimento, prima di oscuri presagi e poi di macabra realtà, radicata nel thriller, nel noir, nella visione più vera e nera e sentita della città-mondo nel secolo scorso. Nel cinema.
C’è molta carne al fuoco, e si vede, e una delle cose più riuscite è senza dubbio l’essere riuscito a condensare in 120 minuti un così vasto insieme di eventi e sfaccettature caratteriali sempre cangianti, aggiungendo addirittura elementi, riuscendo a narrare principalmente con la macchina da presa, senza cadere in compromessi didascalici coi troppi dialoghi che da sempre hanno afflitto il genere negli anni 40 e 50.

Oggi si tratta di un film doppiamente classico, nel suo riprendere luoghi e umori del passato e nel metterli in immagini nella maniera più Depalmianamente pura, tra interpretazioni schiette e sincere nel loro manifestare l’anima, e l’armonico utilizzo di musiche colori immagini, nel potenziamento di ogni singola scena a nuovo epico momento di cinema, contrariamente a tutto ciò che sembra essere quello prettamente odierno, che da un lato orgasma di effetti (ormai solo nominalmente) speciali e racconta per contorsioni già decise (come in Kaufman o Arriaga, che difatti non sono registi ma sceneggiatori), mentre dall’altro (e qui dobbiamo guardare a oriente) cerca l’annullamento della palesità formale di performance e immagini.
Doppia classicità quindi che lo rende più Moderno e sorprendente dei film di oggi, dove CGI, camera a mano e ricercata asetticità, pallida overdose da videoclip e tv, risultano arcaici quasi subito, facendo così fibrillare di fronte a un “semplice” dolly, un montaggio (n)e(v)rotico ma chiaro o una steadycam danzante.

Non autoreferenzialmente, ma come il termine Autore vuole, la gestione della macchina da presa si fa quasi elemento diegetico, non solo vettore dell’espressione di luoghi e attori, ma parte di essi, nel suo esplorare tridimensionale, navigando tesa o violenta, giocando col (non) visibile, diventando parallelo dell’emotività e delle sensazioni: frenetica ma lucida la presentazione delle sommosse nella scena iniziale; caldo e avvolgente nei movimenti e nei colori il momento in cui ci viene presentata Scarlett Johansson, prima soave pecorella e poi oscura segreta, e in innumerevoli altri momenti del film. Non un abuso, ma una solennità, affetto da voglia di attizzare l’occhio dello spettatore, ritornano elementi suoi tipici ma sempre rinnovati, l’ossessione per Hitchcock e per tutto il cinema come arte (e) tecnica, inserisce spezzoni da un altro film (L’uomo che ride, di Paul Muni del 1927), racconta la Dahlia attraverso i suoi provini in inserti b\n limpidissimi in 4:3 accerchiati dal nero più nero a completare il 2.35 in cui si presenta il film, lo split phocal, l’efferatezza mostrata/celata con critica, spia le femmine con sguardo morboso, ispira l’erezione, tesse tensione e shocka subito dopo, personalità celate, la solitudine e la violenza che ne scaturisce (e viceversa), fa sospirare, pensare, presagire, diverte la retina e poi la stupra, con immenso piacere della vittima spettatore, assuefatto dalle emozioni. Narrative, omnie, personali, cromatiche.
E dicendo B.D., si potrebbe ormai tranquillamente intendere sia Brian De Palma che Black Dahlia, nuovo-classico cinelemento unico, amplesso nitrato, giallo e nero splendenti.

De Palma ancora una volta utilizza l’mdp come un chitarrista usa la chitarra, capace di creare una canzone capolavoro con un testo miserrimo. E questa volta abbiamo anche il testo.

 

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(13/09/06)

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